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Vino e dintorni

“Passione, innovazione, tradizione… basta con queste parole per raccontare il vino, siamo ormai noiosi”

18 Agosto 2024
Da sinistra Dante Bonacina, amministratore delegato Baglio di Pianetto Da sinistra Dante Bonacina, amministratore delegato Baglio di Pianetto

Abbiamo avviato un dibattito sul vino e il momento di crisi che sta vivendo e i possibili rimedi. Adesso ospitiamo un nuovo intervento. Chiunque volesse dire la sua su questo argomento scriva a direzione@cronachedigusto.it

Leggo molto spesso articoli che riguardano la crisi del vino. Stiamo assistendo sempre più a generalizzati cali di consumo. Forse dovremmo partire proprio da questo verbo: assistere. Si tratta di un verbo passivo ed è proprio quello che facciamo. Assistiamo passivamente a ciò che sta accadendo intorno a noi. Aristotele diceva che nessuno si muove per causa efficiente, non c’è nessuno che ci spinge da dietro, ci muoviamo per una causa finale, uno scopo. Pertanto o saremo capaci di ispirare il mondo a seguirci oppure semplicemente le persone faranno o consumeranno altro. 

È vero, il mondo del vino sta vivendo diverse criticità. Ci sono le tensioni geopolitiche che creano inevitabilmente discontinuità nei consumi come accade per lo Champagne. Se ne vende meno perché in alcuni dei suoi mercati principali, come la Russia, c’è la guerra. Dall’altro lato il problema del cambiamento climatico che inevitabilmente sta condizionando il nostro settore e che porta anche ad una inversione delle modalità di consumo del prodotto. Le temperature stanno aumentando a livello mondiale di un grado a decennio, fa mediamente più caldo. Di conseguenza si mangia diversamente, a volte in modo condizionato da altre culture e cambia così anche ciò che si beve e quando si beve. 

Il problema di tutti, oggi, è chiedersi se le nuove generazioni berranno vino. Io credo che la risposta non stia semplicemente nella quantità di alcol: se fosse così i giovani non berrebbero neanche miscelati o superalcolici. Forse ci stiamo semplicemente prendendo in giro e questa è la mia preoccupazione più grande.

Ricordo una frase di André Tchelistcheff, padre dell’enologia moderna in California. Diceva che “il vino è una sinfonia di silenzio che parla all’anima”. Ecco, forse il vino ha parlato troppo e oggi non riesce più a comunicare all’anima delle nuove generazioni: è diventato noioso, non è più affascinante. Leggevo un articolo in cui si raccontava delle aziende che hanno un repertorio di parole che è sempre lo stesso: tradizione, innovazione e passione. Siamo diventati noiosi. Da Bolzano a Palermo tutti raccontano le stesse cose. 

Credo sia arrivato il momento di abbandonare un po’ di autocelebrazione, un po’ di vanesio da parte anche dei principali attori del vino e tornare semmai ad una orgogliosa umiltà. Oscar Wild diceva che il lusso non è il contrario della povertà ma della volgarità.

Forse siamo arrivati a questo livello: il mondo del vino è un lusso volgare perché si sono persi alcuni valori fondamentali, come quello del tempo, dell’attesa. I grandi vini, o spesso considerati tali, nascono oggi per essere “ready to drink”, ma se perdiamo agli occhi dei giovani il racconto culturale abbiamo inevitabilmente perso un probabile consumatore.

Si sta provando a capire come riuscire ad interessare i diciottenni al vino, ma non si pensa che al vino si arriva attraverso un percorso e i valori vanno oltre la bottiglia, il semplice liquido. Se il vino diventa una bevanda allora vanno bene i vini dealcolati, gli aromatizzati. Il grande vino è un’altra cosa. Il grande vino deve dimostrare ancora di avere un percorso culturale, un legame personale e intimo con la creatività e la bellezza, il territorio. Il vino, come l’arte, è espressione della sensibilità e della capacità umana di trasformare la materia prima in qualcosa di straordinario, unico, irripetibile. 

C’è tanto da rimettere in discussione: le nuove generazioni nascono con il dolce in bocca che è quello dei succhi di frutta. Da grandi poi cercano cocktail che li soddisfino in termini di sballo con note alcoliche che non dispiacciono al palato. Il mondo del vino non può competere su questo piano, deve concentrarsi per riavvicinare i giovani al valore della bottiglia. 

Se il mondo del vino non riuscirà a comunicare in maniera efficace, non riuscirà a toccare le corde del cuore e del cervello, non riuscirà ad ispirare le persone con rinnovate motivazioni, la gente seguirà altri modelli ispiratori. Dobbiamo rimettere in discussione gli argomenti perché siamo, lo ripeto, noiosi e ridondanti. 

Bisogna fare una sana autoanalisi e cominciare a raccontare perché facciamo le cose, quali sono le motivazioni, gli obiettivi concreti. Non esiste una ricetta da seguire, ma chiunque oggi farà progetti sui volumi e non sul valore avrà, credo, delle serie difficoltà. 

Chiunque ascolta il racconto di un progetto deve sentirne la convinzione, l’orgoglio. E sottolineo questo verbo: sentire. L’orgoglio si sente, è virale, è trasmissibile e questo concetto si lega inevitabilmente anche a chi comunica il vino oggi, sia all’interno delle aziende che i media in senso generale; c’è troppa comunicazione che perde di vista i punti focali per provare a riagganciare le nuove generazioni. 

Infine c’è una grande differenza tra la mia generazione e quella nuova. La mia ha avuto la fortuna di potersi avvicinare ad alcuni modelli di vino rimasti nel tempo e diventati punto di riferimento di cosa significa il grande vino. Oggi molte di queste bottiglie sono diventate inavvicinabili per le nuove generazioni. 

Credo ci sia la necessità, anche per i cosiddetti fine wine, di far risplendere le proprie credenziali non solo in termini di sostenibilità, ma si ridefinisca un modello un po’ meno vistoso e maggiormente inclusivo e condivisibile.

Il futuro va progettato, non si può assistere. Noi oggi rincorriamo un modello di consumo senza rafforzare e nobilitare quello che si è fatto finora. Troppo spesso, ormai, nascono vini per rincorrere le mode, ma manca l’identità. Se non sai tu chi sei chi ti compra? La gente compra basandosi sulle motivazioni. 

Perché oggi si preferisce comprare l’ultimo modello di un cellulare e non investire in una grande bottiglia di vino? Tutto è diventato un competitor di questo settore. 

Perché vince il telefono sull’etichetta? Ho la risposta: perché non siamo affascinanti e siamo noiosi. 

*Amministratore delegato dell’azienda Baglio di Pianetto

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