The summer is magic, almeno per alcuni, per gli altri, per tutti diremmo, è di sicuro hot.
Per chi non si rassegna, all’anemia paglierina dei bianchi ed è infastidito dalla altezzoso posizionamento culturale degli Orange Wines, beh, c’è sempre la piacevolezza eretica dei rossi freddi.
Forse i vini più edonisti e appaganti che non avete ancora bevuto, spesso più per limiti culturali e di immaginazione che per motivi strettamente organolettici.
Le temperature di servizio, come tutte le ortodossie sono in crisi, ma sono state forse tra le ultime ortodossie a cadere sotto i colpi dell’unica dittatura che ha senso di esistere, forse, quella della libertà.
Per anni abbiamo letto su manuali rilegati, scritti pomposi font senza grazie, temperature di servizio che non ammettevano repliche, indugi, dubbi, le temperature di servizio sembrano essere l’unico spazio dove ancora sopravvive, indisturbato l’ipse dixit.
Per fortuna, ormai l’espressione temperatura ambiente, specie in piena emergenza climatica sembra ai più, quello che è sempre stato: un concetto privo di senso.
Gli umani edonisti ovvero quasi tutti quelli che non praticano culti religiosi ascetici o sono portatori di condizioni mediche gravi hanno capito ormai, che i vini rossi per provocare qualche tipo di piacere devono essere serviti freddi anche loro, come se fossero bianchi, a patto ovviamente che siano i rossi giusti.
Certo le resistenze a quello che affermo, da parte di orde di stempiati maschi bianchi di mezza età, saranno notevoli, ma come canta un poeta ferrarese non c’è alternativa al futuro.
Sia per i vini rossi, in cui il mondo senza inverni e con temperature sempre più miti, sta per relegare, nelle condizioni attuali a una stagione più breve di quella dello sci, sia per le persone che di base vogliono ogni tanto mangiare qualche piatto strutturato, anche dopo la fine di marzo, e non credo siano poche, abbinadoci un bicchiere di vino.
Che rossi beneficiano dalle temperature più basse?
Di base il freddo tende ad amplificare a mettere la sordina alle sensazioni di frutta ed a esaltare tannini e durezze, quindi i rossi strutturati ed assertivi tendono ad perdere equilibrio e piacevolezza.
Le basse temperature sui rossi, tendono ad esaltare il tipo di vini che già lo zeitgeist enologico sta premiando: vini morbidi, poco alcolici, poco estratti, le cui olfattive sono trainate da frutto croccante e vivo.
Consigliare temperature di servizio mi sembra sempre un’operazione totalitaria, da chiesa pre conciliare ma per i fanatici dei numeri nudi, direi tra i 13 e i 18 gradi, dando sempre spazio al piacere personale che dovrebbe essere l’unico principio a guidare la degustazione del vino.
Di base un vino che si serve a bassa temperatura dovrebbe essere poco estratto, poco alcolico, ad alto tasso di bevibilità.
I vini delle isole in qualche modo partono avvantaggiati, forse perché là le regole, da sempre arrivano meno, le isole sono per natura più inclini all’anarchia e all’indipendenza dalle regole, da tutte le regole.
Ecco cinque vitigni che si prestano a una bevuta estiva:
1) Frappato, il rosso Made in Sicily del Futuro. Forse il più bel rosso “da frigo” mai apparso su questo piccolo pianeta inquinato, avaro di alcol e struttura, generoso in piacevolezza gustativa oltre ogni dire, il finale morbido e appagante aiuta a tutte le temperature, si esalta, con quelle fredde.
2) Monica, dalla Sardegna, rosso ma non è cannonau, elegantissimo, esile ma non fragile appagante, ad alto tasso connessione emotiva.
3) Pelaverga: il vitigno autoctono piemontese più figo di cui non avete mai sentito parlare, speziatura sensualissima all’ olfatto, freschezza appagante al palato, nelle versione ben fatte con una lunghezza tipo disco dei Pink Floyd
4) Rossese: in tutte le sue doc, un’ uva di energia pura, sarebbe piaciuta a Charlie Parker, una visiva di cui innamorarsi sempre, un’eleganza che travalica temperature stili e gusti, un vino che fa star bene, se freddo anche benissimo, un vino di una generosità tale da mettere in discussione i luoghi comuni sui liguri.
5) Cesanese, del Piglio o meno, vitigno finalmente contemporaneo, nelle sue versioni migliori un vero vino da beva compulsiva, tragicamente sottovalutato. Forse la cosa più bella di cui innamorarsi nel basso Lazio, dai tempi del primo disco di Calcutta.