Un incontro nella patria del vino Marsala, in quel punto della Sicilia vista Egadi dove tutto ebbe inizio nel 1773. E oltre 300 anni dopo il dipartimento dell’Agricoltura della Regione Siciliana ha dialogato insieme al Consorzio per la tutela del vino Marsala, al comune e ai rappresentanti dei Paladini Vini Sicilia. Un unico obiettivo: portare i vini fortificati, cioè addizionati di alcol, del Mediterraneo verso il riconoscimento di Patrimonio Immateriale dell’Umanità UNESCO. Alla stregua della coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria.
Ma torniamo al Marsala. Un ponte tra la Sicilia, il Portogallo e la Spagna. La cosiddetta “Sun Belt”, un’area geografica e fascia climatica che attraversa il Mediterraneo meridionale e che abbraccia quei vini ottenuti con l’eau de vie e distillati di origine vinicola. Parliamo proprio del Marsala, ma anche del Porto, del Madeira, dello Sherry.
L’idea arriva dal dirigente regionale del dipartimento all’Agricoltura Dario Cartabellotta, insieme all’avvocato Diego Maggio e Baudouin Havaux, presidente del Concours Mondial de Bruxelles. “Non si tratta di un’idea per avere un riconoscimento promozionale – ci dice Dario Cartabellotta – non vogliamo mettere la stelletta sull’argomento. Lo chiediamo per la valorizzazione di questi vini. Tre secoli fa sono state poste le basi per l’enologia moderna, ben prima delle nuove tecniche di viticoltura”.
Un modo per costruire una rete che non si fermi alla Sicilia ma che diventi internazionale. Gli inglesi li hanno scoperti, è successo per il Marsala con il commerciante inglese John Woodhouse che per far viaggiare il vino del luogo, il perpetuum, fino a Liverpool aggiunge acquavite per evitare che si alterasse durante il viaggio per mare, ed è successo al Porto con le famiglie inglesi Warre e Graham, che ebbero un ruolo fondamentale nel commercio. Gli inglesi furono molto importante anche nella promozione del vino di Madeira.
Ora parte il percorso per il riconoscimento del vino della “cintura del sole”. Per i promotori la pratica enologica dei vini fortificati rappresenta una tradizione antica e affascinante non solo enogastronomica ma anche identitaria delle rispettive comunità locali che si estende attraverso le regioni del Duero portoghese, della Spagna andalusa e della Sicilia occidentale.
Il percorso per il riconoscimento è ancora molto lungo. Dopo il primo incontro si parte con la raccolta di dati e della documentazione per raccogliere informazioni storiche, culturali ed enologiche della “Sun Belt”. Si passerà poi al coinvolgimento di aziende, dei wine resort e dei bagli per raccogliere conoscenze e pratiche tradizionali, fino alla realizzazione del dossier UNESCO per dimostrarne l’importanza. A ottobre sarà costituita una rete in un incontro che avverrà proprio a Marsala.
Intanto la notizia scatena anche qualche perplessità, come ci spiega Aurelio Angelini, direttore della rivista scientifica Culture della Sostenibilità già direttore della Fondazione Patrimonio UNESCO: “Le liste UNESCO sono nate per promuovere la pace attraverso la cultura, l’arte, le pratiche locali e significative. La condivisione è il principio opposto del fronteggiamento alle armi. Oggi mi sembra ci sia una rincorsa al riconoscimento, anche quando non servirebbe. Tutto vuole diventare UNESCO. La pratica agricola della vite ad alberello di Pantelleria, per esempio, ha un significato come patrimonio immateriale, perché attraverso la cultura locale promossa e gestita dai contadini, scaturisce uno strumento di partenariato e di alleanza, di scambi culturali per condividere la cultura e la scienza. Nel caso dei vini fortificati forse servirebbe più un’azione di marketing, ma sono pronto a leggere le proposte”.