“Basta pensare che solo gli orange Wine o i macerati possano essere fatti in anfora”. Parola di Andrea Andrigo, coordinatore commerciale Italia di Tava. Un’azienda che nasce 13 anni fa a Mori, in Trentino e che oggi con un fatturato che si aggira intorno ai 6 milioni di euro vende anfore in tutto il mondo, prevalentemente in Francia e in Italia. Sono 1.600 i clienti che si affidano e che utilizzano questi prodotti.
Leggenda vuole che la tradizione di fare vino in anfora sia nata intorno al 6.000 a.C. in Georgia quando venivano prodotti nelle kvevri, contenitori in terracotta utilizzati ancor oggi nel Paese per la fermentazione dei mosti e la vinificazione. Si utilizzavano perché le anfore potevano essere facilmente posizionate nelle stive delle navi permettendo al vino prodotto e affinato di “viaggiare”.
Ma a togliere la polvere e riportarle in auge nel mondo moderno è sicuramente Josko Gravner, il padre della Ribolla Gialla prodotta sul Collio italiano. È lui il precursore di questa tecnica nel nostro Paese con una cantina senza tecnologia basata sulle anfore provenienti dal Caucaso. E così la terracotta ha ripreso pian piano spazio in questo mondo nuovo, riuscendo spesso a sostituirsi al legno, al cemento, all’acciaio. E perché no, anche a fondersi con queste altre tecniche.
Ed è questo l’obiettivo di Tava con i suoi quattro formati di anfore: la più piccola di 55 litri che è spesso utilizzata in fase di test e fuori dal mondo enologico, la 320 litri, la 750 litri (circa 5.000 euro di costo) e la 1.600 litri (si arriva quasi a 10.000 euro). C’è però un vantaggio: l’anfora è pensata per durare per sempre, tutta la vita.
Se in Georgia ci sono le kvevri interrate, nelle diverse parti del mondo le anfore hanno nomi, forme e caratteristiche diverse. In Spagna ci sono le tinajas di dimensioni più ridotte, in Turchia ci sono le kups, rigorosamente non interrate.
Per molti anni in Italia Tava ha fatto un lavoro di ricerca sui materiali da utilizzare fino a che non è stato perfezionato un blend di terracotta. L’argilla è prodotta in esclusiva per l’azienda con provenienza sparsa da Germania ad Austria a Francia e Inghilterra. Anfore che non devono necessariamente essere interrate. Anzi, sono create proprio per essere spostate da chi le utilizza.
Ma che vantaggi ha un produttore a utilizzare l’anfora? “Ciò che viene più apprezzato – racconta Andrigo – è il fatto di avere uno strumento che permette un percorso di affinamento molto neutrale. Oggi molto spesso, soprattutto in Francia ma anche anche in Italia, la scelta viene fatta per continuare un processo che viene fatto in parallelo su altri contenitori. L’anfora permette grazie a questo apporto di micro ossigenazione di continuare il processo senza avere elementi come il legno. Viene valorizzato in questo modo molto il frutto”.
Quello che avviene durante la prima settimana di vita dell’anfora è un lavoro artigianale riguardo la costruzione e l’assembramento dei vari pezzi. Nello stabilimento arrivano dei mattoni con un primo trattamento già effettuato con argilla filtrata senza elementi biologici e organici all’interno. L’aspetto di essiccazione e di cottura è molto industriale ma con un controllo maniacale rispetto a percentuali di umidità e di temperatura. Tava collabora con atenei universitari per permettere un’omogeneità di cottura e una resistenza anche nel materiale.
C’è però una cosa su cui Tava punta maggiormente: smontare, come dicevamo, l’idea che l’anfora debba necessariamente essere utilizzata per orange wine e macerati. “Grazie all’affinamento in anfora viene esaltato al massimo il territorio e il frutto. Inoltre, l’anfora può essere accostata ad altri tipi di affinamento. Si combina con altri strumenti”.