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Vino e dintorni

Skerk, Skerlj e Zidarich: il legame con il vino è incastonato… nella pietra

16 Luglio 2024
Benjamin Zidarich, Matej Skerlj,Sandi Skerk Benjamin Zidarich, Matej Skerlj,Sandi Skerk

Il vino presumibilmente è nato in rudimentali vasche di pietra, orci di terracotta e anfore ancestrali. Nell’esigenza di viaggiare va ricercata, poi, l’uso dei diversi materiali e contenitori per immagazzinare il vino, primo fra tutti il legno. Se tutto questo è storia la memoria d’improvviso è andata, però, persa soppiantata dall’acciaio e dal cemento divenuti i contenitori più idonei, talora anche per l’affinamento. Ma ritornare alle origini, partendo da dove tutto è nato, può diventare la più grande innovazione? Se la memoria ha futuro, come direbbe Sciascia, nuove forme di vinificazione e affinamento possono prendere nuovamente vita conservando il meglio di quel che siamo stati. Ed è quello che sta succedendo alle porte di Trieste, in quella striscia di costa di rara bellezza, caratterizzata dal degradare dell’altopiano carsico nel mare. È la terra della Vitoska, della Malvasia, della Glera e del Terrano, ed è qui che si intrecciano le storie di Skerlj, Zidarich e Skerk, produttori illuminati e prima ancora amici il cui legame con la terra di origine sembra incastonato nella pietra.

Con il Carso che già è pietra, con quei filari di vite conquistati a dura fatica, metro a metro, scavando nella roccia, è qui che l’estrazione sembra trovare il suo stesso senso etimologico. Ed è sempre qui che risiedono anche le ragioni emotive della macerazione, tecnica da sempre autoctona e non frutto delle recenti mode che investono l’intero Bel Paese. “Macerare significa concentrare” dice Matej Skerli ed è qualcosa che riesce molto bene alla Vitoska vitigno principe del Carso, nato da un incrocio spontaneo tra la Malvasia e la Glera, che per spessore della sua buccia e neutralità organolettica ben si presta alle macerazioni. Così il vino di questa terra diventa sua stessa essenza, convoglio della sua natura. Ma come fare a chiudere il cerchio? A creare un vino che arriva da dove tutto è partito?  tre rispolverano la storia e la pietra diviene il nuovo elemento connaturato del vino: con quelle viti di Vitoska che nascono nella pietra e si modellano sempre nella pietra all’atto della trasformazione in vino “così chiudendo il cerchio” dice Zidarich che è stato il pioniere di questa nuova tecnica di vinificazione e di affinamento. L’avvenire della memoria può assumere allora diversi significati e il dialogo fra tradizione e futuro può continuare in un’alleanza tra identità territoriale e visioni personali attraverso parole rielaborate dal passato in un atteggiamento dal sapore migliorativo.

L’occasione per scoprire i vii della pietra è stata la 18esima edizione di Mare e Vitoska tenutasi al castello di Duino.

Zidarich

È dal ’88 che Benjamin ha sempre fermentato i suoi vini sulle bucce, anno della sua prima vinificazione. Quello che ha cambiato nel mentre, in più riprese, è stata la densità di impianto, poi il sistema di allevamento, oggi vocato all’alberello, ma il senso di fare bene le cose è rimasto sempre lo stesso. Le sue vigne, esposte a sud, sono tutte a favore della Bora e dai loro 300 metri a picco sul Mar Tirreno vedono tre Stati: Italia, Croazia e Slovenia. “Dal 2011 vinifico i miei vini in tini di pietra ricavata dalla cava del vicino paese di Aurisina” dice Zidarich. L’idea nasce dalla lettura di antichi testi “nella preistoria questi contenitori venivano utilizzati per la conservazione degli oli”.  Così Benjamin affida ai suoi due fratelli Marko e Kristian, artigiani locali della pietra, la realizzazione di un contenitore – botte “ne ho fatti realizzare cinque, tutti diversi tra loro, come diverso per forma e dimensione è anche ogni chicco che compone il grappolo della Vitovska”.

Una volta raccolta, l’uva viene diraspata e messa in una vasca di pietra aperta, dove avvengono la fermentazione e la macerazione per circa un mese. Le temperature non sono controllate, ma la pietra tende ad isolare maggiormente rispetto ad altri materiali, assicurando così un calore minore in fase di fermentazione. Dopo il travaso il vino resta ancora in pietra per un anno privo delle sue bucce per poi affinare il successivo in legno “sono tutte botti esauste le mie”.

Kamen 2021 – Venezia Giulia Igt
Kamen in lingua slovena significa, appunto, pietra e le radici della roccia si esprimono al calice sotto forma di agrumi, fiori bianchi ed erbe alpine. Sembra che il naso riesca a tradurre in un odore non acciuffabile la luce e il vento del Carso mentre il palato sviluppa una complessità sorprendente mantenendo al contempo una lunga sferzata di freschezza che diventa precursore della sua notevole longevità.

Skerlj

A Sgonico, in località Sales, il lavoro è duro quanto quel terreno che lo sorregge.  Bisogna spaccare la roccia per far spazio alle viti da impiantare e trovare un po’ di terra rossa diventa oro colato. “Per fare la vigna nel Carso è necessario crearsela da soli» dice Matej che, insieme a sua sorella Kristina  oggi, ma senza dimenticare la fatica di ieri, gestiscono tredici micro-apprezzamenti per un totale di tre ettari, mentre la vecchia Osmiza di famiglia – tipica bottega carsolina aperta in alcuni periodi all’anno per accogliere viandanti e turisti – è diventata, invece, un accogliente agriturismo. Le piante di Vitovska sono miste tra guyot ed alberello e di queste una parte è destinata alla produzione della Vitoska 67 che vinifica e fermenta in pietra anch’essa ricavata dalla vicina cava di Aurisina.

“E’ dal 2018 che sperimento con la pietra e da quest’anno uscirà anche la Malvasia 2022 con questo affinamento”. I contenitori di Matej, come quelli di Zidarich, sono posti fuori terra e sono costituiti da tre pezzi singoli uniti fra loro così a formare base, cilindro e chiusino, in una struttura dalla forma ottagonale. “La pietra è un materiale fortemente dissipativo del calore, inoltre è priva di cessioni minerali e metalliche, quindi non ci sono elementi che compromettono la stabilità chimico-fisica del vino”. A differenza di Zidarich, Matej però fermenta in tini coperti, sulla falsa riga dell’utilizzo dell’anfora di terracotta, con un contatto sulle bucce molto prolungato, di circa un anno.  Anche lui, però, dopo un anno in pietra riserva un affinamento di pari tempo in legno.

Vitoska Riserva 67 2021 Carso Doc
Profondo, elegante. Gli aggettivi di un olfatto che richiama muschio, fiori gialli, balsamici freschi, mentre il palato si fa marino con l’eco della salsedine in retronaso, in un corpo slanciato, lungo e armonico nella sua pienezza espressiva.

Skerk

Prepotto è un minuscolo borgo conteso fra il mare e la selva brada. È questo il grand cru dell’altopiano carsico. Qui, sulla bianca pietra calcarea e sulla ferrosa terra rossa, spirano dolci brezze mediterranee che dalla costa istriana arrivano alle sponde gradesi. E’ qui che Sandi ha le sue viti di Vitoska allevate ad alberello e tenute in vita con il solo lavoro fatto dall’uomo. Ed è qui che, con un progetto iniziato oltre 15 anni fa, oggi sorge una cantina costruita nei sottosuoli del Carso di accecante bellezza. “Il calcare col vino all’inizio non è il miglior alleato. Il primo impatto è quasi di litigio perché l’acidità del vino corrode completamente il calcare e lo mangia” poi, però col tempo si sposano “dopo circa sei mesi i tartrati si aggrappano alle pareti della pietra, creando una sorta di pellicola tra le pareti stesse del contenitore e il liquido che lo contiene”.

Ed è ancora un’altra e diversa visione della pietra quella di Sandi, con un recipiente che è formato non da singoli blocchi, ma da tanti dischi, che nel mezzo cambiano circonferenza e inclinazione cosicché al suo interno si ricrei la forma ovale di un’anfora. I vini della pietra di Skerk sono ancora in divenire. La prima annata in commercio sarà probabilmente tra qualche anno. Ad oggi sono lì che riposano in cinque grandi blocchi di pietra, questa volta interrati, disposti in un semicerchio dai quali si vede solo il coperchio. Ma nel mentre la vista incontra la grotta che li ospita: oltre duecento metri di altezza in un anfiteatro che riflette la luce e l’aria dei quelle viti che qui, nel Carso, sono cultura da sempre.