Tra un ossimorico boom degli amari dolci, e un (già) declinante boom del gin, ecco spuntare il nuovo trend del mondo Spirits, da dove meno ce lo potremmo aspettare: dal Perù.
Si chiama Pisco, è made in Perù, (ma anche il Cile ne rivendica la paternità con la sua variante) ed è, udite udite, un distillato d’uva, un’acquavite di uva, o un brandy se siamo fissati con gli anglicismi.
Più antico del Tequila (sempre al maschile, mi raccomando), sconta lo scarso peso culturale e politico del Perù, rispetto al vicino Messico. Il Pisco, nato nell’omonima città costiera peruviana, sembra destinato, finalmente al riconoscimento globale, quello che si augurano da sempre gli amanti, Pisco Sour, di gran lunga il cocktail più cool che possiate ordinare, in questi tempi incerti, al bancone del vostro bar di fiducia.
Intrinsecamente legato al suo (cruento) passato coloniale, essendo, la vite, tutta la vite, arrivata in Sudamerica sui galeoni europei, insieme ad altre cose meno conviviali, il Pisco nonostante quello che si potrebbe immaginare non subisce (almeno nella versione peruviana) affinamento in botti di legno, acciaio e il vetro delle tipiche botijas sono i materiali che predilige per l’affinamento, rendendolo uno dei pochissimi spiriti in cui è percepibile, davvero, il terroir.
Territorio e varietali, sono gli elementi in evidenza nel Pisco, dato che le cultivar autorizzate del disciplinare della D.O. (Denominaciòn de Origen) in vigore dal 1991, autorizza l’utilizzo di otto diverse cultivar locali, quebranta, mollar, negra criolla, uvina, italia, moscatel, torontel, albillaquebranta, mollar, negra criolla, uvina, italia, moscatel, torontel e albilla, in proporzioni variabili a seconda del gusto e del genio del singolo distillatore.
Figlio di uve dalla spiccata aromaticità, il Pisco è distillato una volta sola (quindi eliminando le teste e le code), non diluito e affinato in legno o acciaio ed è uno spirito che non può raggiungere gradazioni particolarmente elevate. Da disciplinare infatti i volumi alcolici si attestano tra 38% e il 48% e questo lo rende versatile ed estremamente in linea con il gusto contemporaneo che chiede agli Spirits di meno alcolicità e più gusto e leggerezza.
Figlio di cultivar diverse tra loro, il mondo del Pisco deve attenersi ad un disciplinare stretto dal punto di vista del processo produttivo. Può però variare dal lato organolettico in virtù, appunto, della varietà delle uve.
Il Pisco puro infatti viene da un singolo vitigno, mentre se una bottiglia presenta in etichetta la dicitura Acholado siamo di fronte a un blend di diversi tipi di uve, o di Puro diversi blendati dopo singole distillazioni.
Un mondo variegato, territoriale e molto affascinante, quello del Pisco quindi, e che citando le parole di Gladys Torres Urday, promotrice culturale per il Consejo Regulador Denominacion de Origen: “Il Pisco va bevuto a piccoli baci, perché ha la tenerezza di un bambino, l’immaginazione di una donna, la forza di un uomo”. Un liquore inedito che se non si affida a coloranti per renderne più accattivante la vista, quasi trasparente, e che grazie al breve affinamento in contenitori neutri, si presenta nella sua “nuda” esuberante nitidezza espressiva: secco, intenso, al palato con intensità olfattiva di raro fascino, data dalle cultivar aromatiche, l’intensità di un grappa e la morbida, appagante morbidezza del brendy, credo ce ne sia abbastanza almeno per incuriosire.