Tutti pazzi per l’Etna. Ancora. L’appeal resiste. Non è una moda. Il territorio attorno al vulcano più alto d’Europa è una straordinaria area per produrre vino di qualità che piace ai bevitori qualificati e alla critica enologica di mezzo mondo. Chi ha scommesso sull’Etna provenendo dal resto d’Italia se lo gode. A patto che non sia un produttore improvvisato (ce ne sono sempre e annaspano vistosamente). In molti – ed è il motivo per cui ne parliamo – sono appollaiati ad aspettare che accada qualcosa.
Tra questi c’è chi si augura che si attenui l’attenzione mediatica sul vulcano per dare respiro ad altri terroir siciliani che soffrono un po’. Sfogliate una guida qualsiasi e noterete quanto i punteggi più alti dei vini dell’Etna soverchino quelli del resto della Sicilia messi tutti insieme. Tutto questo nonostante sul vulcano si produca soltanto meno del 2 per cento di tutto il vino siciliano, circa sei milioni di bottiglie. La vedo ancora dura per gli altri. Non tanto per merito dell’Etna che comunque presenta un rallentamento sulle vendite e con le giacenze in aumento. Come accade in molte altre parti. Ma soprattutto per incapacità di altre parti dell’isola di scommettere sempre più su qualità, maggiore coraggio, capacità di narrazione e visione. L’Etna resta un caso unico non replicabile.
Poi ci sono quelli che restano appollaiati sperando che i prezzi dei terreni calino e rendano più facile l’investimento. Ce ne sono parecchi di produttori e più in generale imprenditori che sperano in tutto questo. Oggi per un ettaro di terreno in una zona di pregio con un bel vigneto servono tra i 150 e i 200 mila euro. Ed è una spesa solo per cominciare. Non è poco. Nessuna parte d’Italia a sud di Montalcino spunta quotazioni del genere. Ripeto, nessuna.
Ora percepiamo che la voglia di Etna non si è attenuata ma quando si sentono poi i prezzi molti decidono di soprassedere. Vorrei dire a tutti questi nuovi possibili investitori che la bolla non scoppierà a breve. Di tempo, se non accadrà nulla di sconvolgente, ne passerà ancora. Alcuni segnali ci sono. I prezzi delle uve, per esempio, dell’ultima vendemmia. Col Carricante che ha sfiorato se non superato i tre euro al chilo. E il Nerello Mascalese i quasi due. E tutto questo con un raccolto superiore alla vendemmia 2023 che è stato disastrosa anche qui.
Insomma, l’Etna resterà un territorio per pochi. Per chi avrà i soldi e un pizzico di follia e di visione. Per chi ci crede. Per chi ha una passione fortissima che è il motore di tutto. D’altra parte basta leggere qui> l’articolo pubblicato su Cronache di Gusto in cui raccontiamo della decisione del miliardario americano Kevin Harvey di lasciare l’Etna e vendere i suoi vigneti. Venduti a circa 220 mila euro ad ettaro. Non male. Notizia che fa il paio con l’intervista rilasciata da Francesco Allegrini, l’ad di Allegrini Wines al Corriere della Sera in cui dice di voler scommettere su altre zone d’Italia, non Piemonte o Toscana ma al Sud. E se fosse Etna? Dovrà fare i conti con questi valori fondiari. Molto più alti della media. Tutto questo mentre sull’Etna poche settimane fa non si è parlato d’altro che di una presunta vendita di Tenuta delle Terre Nere di Marco de Grazia al gruppo Frescobaldi. Notizia smentita, per ora, dallo stesso Lamberto Frescobaldi. È bastato che il produttore toscano e presidente dell’Unione Italiana Vini andasse a trovare de Grazia durante il G7 di Siracusa per scatenare il chiacchiericcio. Forse una trattativa c’è stata. O è in corso. Il tempo sarà galantuomo.