“Non penso assolutamente che i vini dealcolati possano essere un rimedio alla crisi enologica italiana”. È questo il primo commento del professore Attilio Scienza, una delle figure di riferimento nel mondo della viticoltura, che abbiamo contattato subito dopo la firma del ministro Francesco Lollobrigida al decreto che permette la produzione, anche in Italia di vini low e no alcol. Rimangono esclusi dalla nuova regolamentazione i vini a Denominazione di Origine Protetta e Indicazione Geografica Protetta.
“A cavallo tra le due guerre — ci dice Scienza – il Brasile si è trovato con un’enorme offerta di caffè, che ha iniziato a utilizzare per alimentare le locomotive risparmiando carbone. Mi sembra quasi la stessa idea ma io sono fermamente convinto: non si risolve l’eccesso di prodotto attraverso i dealcolati che diventeranno un mero prodotto industriale e non più agricoli”.
Scienza è netto nella sua analisi: i vini low e no alcol sono bevande senza identità. E secondo lui le soluzioni per risolvere la crisi esistono. “Questa è solo una digressione per fare un po’ di fumo ed evitare di affrontare i problemi. Davanti a questa crisi i francesi hanno messo in programma l’estirpo di almeno 40mila ettari di terreno. Io credo che la prima cosa da fare sia quella di ridare il significato alla parola ‘vocazione’”.
Bisognerebbe quindi produrre vino che richiami l’essenza del territorio, qualcosa che ha valore in sé e che non può essere modificato da interventi esterni o interni, di nessun tipo. “Abbiamo prodotto per anni il vino in luoghi in cui non c’era vocazione, per interessi politici, sociali e industriali. Ora bisogna tornare all’essenza. Fare vino significa lavorare in zone dove non è necessario impiegare acqua di irrigazione o concimi. Il territorio vocato ha dentro sé caratteristiche che consentono di fare agricoltura sostenibile”.
In Italia la geografia del vino è completamente cambiata dagli anni ’60. Le zone vocate antiche erano vicino ai mercati e alle città. Per esempio, in Lombardia si faceva vino vicino Milano: l’uva era venduta agli osti che vinificavano in città: “Quella viticoltura è cambiata completamente. Ma oggi serve ripensare il concetto, non tanto fare vino vicino le città ma dove può essere prodotto a costi bassi”.
“Le zone cambieranno ancora ma oggi abbiamo gli strumenti per adattarci ai cambiamenti climatici. Abbiamo attività di cantina che prima non c’erano. Non dobbiamo piangere, ma bisogna trovare come i predecessori il modo per affrontare questo momento come occasione di riscatto”.
Secondo Scienza, la produzione di dealcolati in italia ricorderebbe la modalità di riduzione dell’economista inglese Thomas Malthus con la teoria dello sviluppo: poiché le risorse alimentari sono modeste, bisogna limitare le nascite. “Con i vini dealcolati si pensa di fare la stessa cosa. Ma è necessario trovare soluzioni per produrre vini di qualità e spiegare che bisogna berli con sobrietà, sapendo che c’è alcol. Per risolvere la crisi bisognerebbe forse farli meno alcolici, venendo incontro al mondo che cambia. Vini più leggeri, meno impegnativi, correlati al nostro modo di vivere. Di sicuro non senza alcol”.