Nero d'Avola in purezza.
Tanti si sono innamorati della Toscana e hanno acquistato poderi e cascinali in quella splendida terra, ne sanno qualcosa gli inglesi e gli americani. Ma ogni tanto può succedere che dei toscani si lascino incantare dalla campagna siciliana, ne rimangano affascinati dai colori, dal sole, dal clima, dalle potenzialità in agricoltura ancora poco espresse.
E' quello che è successo ad Antonio Moretti, un aretino dalle tante occupazioni ma che già possedeva una cantina nella sua regione e che arrivando a Noto si è innamorato della sua campagna immaginando subito che poteva rappresentare una chicca e costituire un nucleo di eccellenza per l'agricoltura e la viticoltura di qualità. Così nel 2001 ha acquistato un podere proveniente da una proprietà estremamente frammentata, come spesso succede nell'Isola. Erano 15 ettari di vigneto, tutto ad alberello di NdA e di Grillo e già il 2002 è stata la prima annata con il nome della contrada: Feudo Maccari.
La famiglia Moretti ha iniziato immediatamente con una sana e attenta gestione, aumentando nel tempo la superficie e impiantando nuovi vigneti, ma sempre ad alberello per privilegiare la qualità anche a scapito dell'economicità e della facilità di coltivazione. Oggi la tenuta, che comprende anche terreni in contrada Bufalefi, è di 140 ha di cui 40 a vigneti di NdA, Cabernet, Grillo, poco Petit Verdot e altrettanto Moscato di Noto ma chiaramente l'anima dell'azienda è costituita dal Nero d'Avola, vitigno che secondo molti studiosi proprio in quelle zone oltre ad avere avuto i natali raccoglie le migliori qualità dal territorio.
Oggi l'azienda che produce 150.000 bottiglie è nelle mani della figlia Monica che, per non privarsi di niente, si avvale di un intero team di enologi per creare al meglio i propri vini, per tirar fuori da pochi grappoli di uva per pianta quanto di meglio la natura e la competente azione dell'uomo possa essere capace.
Il Saia 2010 è ricavato da vigneti con 5.500 piante per ettaro che vengono ridotte a produrre solo 60 q/ha di uva. Il nome in dialetto significa canaletta di irrigazione che, introdotta dagli arabi, serviva per addurre le acque a scorrimento fino alle piante. La vendemmia tra la fine di settembre e i primi di ottobre con una macerazione fra i 10 e i 18 giorni secondo l'annata fermentando con lieviti spontanei. Poi in legno di barriques e di tonneaux dove il vino riposa dai 10 ai 14 mesi, infine senza essere filtrato va in bottiglia per alcuni mesi. L'annata che degustiamo è stata commercializzata a luglio.
Nel calice un rosso rubino intenso. All'olfatto si presenta immediatamente complesso e fine nello stesso tempo. E' un'esplosione armonica di spezie, pepe nero in particolare, di frutti rossi maturi, di liquirizia, il tutto su un sottofondo lieve di cuoio. Perfettamente franco e fascinosamente elegante ed intenso inebria il naso. Al palato è pieno, rotondo, potente con i suoi 14,5 gradi di alcol, di stupefacente armonia. I tannini si avvertono ma in punta di piedi, come a dire ci siamo ma non disturbiamo; una discreta acidità accompagna la ciliegia matura e con un finale indefinitamente lungo un retrogusto di melograno vi accompagna per tanto tempo. Insomma un'altissima espressione di Nero d'Avola che dimostra come questo vitigno sappia dare vini di assoluta eccellenza.
Potete trovarne 55.000 bottiglie al prezzo di 16 euro.
Abbinatelo come vi aggrada, ma vi invitiamo a gustarlo con un cioccolato amaro o un toscanello al caffè mentre guardate un film in TV.
Feudo Maccari |
Recensioni Rubrica a cura di Salvo Giusino |