di Federico Latteri
L’azienda fondata nel 1761 da Bartolomeo Borgogno ha scritto molte pagine importanti nella storia della vitivinicoltura italiana.
I suoi vini sono stati protagonisti di avvenimenti cruciali come il patto per l’Unità d’Italia nel 1861 o il pranzo in onore dello Zar di tutte le Russie, Nicola II Romanov, in visita ufficiale al castello di Racconigi nel 1908. Dopo la Prima Guerra Mondiale, Cesare Borgogno assume la guida della cantina: sarà lui l’uomo della svolta che conquisterà prestigio internazionale, vendendo le sue bottiglie all’estero, principalmente in Argentina, Stati Uniti e Europa.
Cesare, poi, decide di fare una cosa che all’epoca fu considerata pura follia, ma che in realtà si rivelò un’intuizione geniale, frutto di una lungimiranza unica: conservare metà della quantità prodotta di Barolo Riserva in cantina per venderla dopo 20 anni (ricordiamo che ancora oggi Borgogno è tra i pochi a potere vantare una collezione di vecchi millesimi, molti dei quali possono essere acquistati). Nel 1967 l’azienda assume il nome di “Giacomo Borgogno & Figli”. Nel 1972 si registra un prestigioso record: una bottiglia di Barolo del 1886 viene venduta all’asta dei vini storici di Torino per 530 mila lire, la cifra più alta mai raggiunta da un vino italiano fino ad allora.
Arrivando a tempi più recenti, nel 2008 la cantina passa in mano alla famiglia Farinetti, fin dall’inizio fermamente convinta della filosofia produttiva da portare avanti: non cambiare nulla per rimanere classici e tradizionalisti. Andrea, figlio di Oscar Farinetti, terminati gli studi alla scuola enologica di Alba, assume la conduzione dell’azienda nel 2010. Cinque anni più tardi arrivano due importanti novità, l’inizio della conversione al biologico e l’acquisto di 3 ettari nel tortonese per la produzione di Timorasso. Nel 2016 una grande ristrutturazione riporta all’antico splendore le cantine storiche e la proprietà cresce con l’ acquisizione a Madonna di Como, frazione di Alba, di 11 ettari che vanno ad aggiungersi ai 20 già di proprietà, localizzati per una buona parte in cru importanti della zona del Barolo come Liste, Cannubi e Fossati.
(Andrea Farinetti)
Ma i Farinetti non si sono fermati qui e recentemente hanno preso in affitto 2 ettari e mezzo di Nebbiolo da Barolo a La Morra e hanno incrementato l’estensione dei vigneti nel Tortonese. Attualmente Borgogno produce circa 280 mila bottiglie l’anno, divise tra le rinomate etichette di Barolo, diversi vini di Langa e i bianchi da uve Timorasso. Degustiamo il Barolo Chinato, vino aromatizzato molto particolare che fa parte della tradizione piemontese.
Nato alla fine dell’Ottocento, veniva impiegato non solo come digestivo, ma addirittura come medicinale poiché gli venivano riconosciute diverse proprietà terapeutiche. Borgogno iniziò a produrlo intorno agli anni Venti, mettendo a punto una propria ricetta, ancora oggi in gran parte segreta. La base di partenza è costituita da un vino che deve necessariamente essere Barolo a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (dovrà costituire almeno il 75 per cento del volume). Vengono aggiunti poi zucchero, alcol e un infuso di erbe e spezie. Quest’ultimo è fatto con 46 essenze diverse, macinate, frantumate grossolanamente o semplicemente sminuzzate, che si lasciano a macerare in soluzione idroalcolica per 35-70 giorni.
L’ingrediente principale è, come si intuisce dallo stesso nome del vino, la china nelle sue due varietà classiche, Calissaia e Succirubra. Ci sono poi tanti aromi come vaniglia, chiodi di garofano, genziana, rabarbaro, sandalo e cardamomo, solo per citarne alcuni tra quelli che conosciamo. Una volta pronto, l’infuso viene filtrato e lasciato riposare per alcuni mesi. La preparazione del Barolo Chinato prevede lo scioglimento dello zucchero e di una piccola quantità di zucchero bruciato in una parte del vino base che poi viene miscelato con l’alcol, l’infuso e la restante parte del vino. Seguono un periodo di permanenza in vasche di cemento, un’ulteriore filtrazione e l’imbottigliamento.
Versato nel calice, il Barolo Chinato Borgogno offre un colore particolare che è già un eloquente biglietto da visita, un rosso granato di buona intensità con riflessi ambrati. E’ complesso e ricco di sfumature al naso, nel quale risultano evidenti sentori di china, liquirizia e erbe officinali, che danno un timbro balsamico al bouquet, arricchito da note più tenui di frutta rossa sotto spirito. In bocca è caldo, ben strutturato, equilibrato, morbido e, soprattutto, consistente e deciso nel gusto con le note di china che tornano ancora più evidenti al retronaso. Lunghissima la persistenza. Intrigante il gioco che vede da una parte il calore dell’alcol e dall’altra l’effetto rinfrescante della componente balsamica. Il Barolo Chinato può essere bevuto sia a fine pasto che nei momenti di relax. Vi consigliamo di abbinarlo ai dolci a base di cioccolato, oppure al cioccolato fondente con cui si sposa alla perfezione. Va bene anche da solo come vino da meditazione.
Rubrica a cura di Salvo Giusino
Borgogno
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