Lungarotti è un nome che appartiene alla storia del vino italiano. E’ l’azienda che più di ogni altra ha contribuito in modo determinante allo sviluppo del settore vitivinicolo in Umbria con prodotti che sono riusciti a conquistarsi spazi importanti nei mercati di tutto il mondo. Nasce all’inizio degli anni ’60 per opera di Giorgio Lungarotti, uomo di grande cultura e lungimiranza non comune che aveva ben compreso già allora le potenzialità della sua regione e quella che sarebbe stata l’evoluzione del settore nel futuro. Bisognava modernizzare la viticoltura e comprendere a fondo il territorio, scegliendo in maniera attenta i vitigni autoctoni su cui puntare. Con la vendemmia 1962 vengono messi in commercio i primi due vini, il Rubesco e il Torre di Giano, che nel 1968 si fregiano della Denominazione di Origne Controllata Rosso e Bianco di Torgiano, rappresentando una tra le prime Doc italiane riconosciute.
La visione di Giorgio condusse alla realizzazione di un vero e proprio polo vinicolo a Torgiano. La cantina fu affiancata da strutture ricettive per i visitatori e centri d’interesse culturale come il Museo del Vino, inaugurato nel 1974. La gestione, da sempre familiare, oggi è affidata a Chiara Lungarotti (amministratore delegato), figlia di Giorgio, alla sorella Teresa Severini (responsabile marketing e comunicazione) e alla madre Maria Grazia, impegnata principalmente nelle attività della fondazione Lungarotti, che si occupa del Museo del Vino, del Museo dell’Olivo e dell’Olio, di eventi e pubblicazioni. A dare continuità alla tradizione e all’amore per la propria terra c’è anche la nuova generazione, rappresentata da Francesco, figlio di Teresa ed export manager del gruppo e dalla sorella Gemma che collabora con la nonna Maria Grazia nella gestione della fondazione. I vigneti di proprietà si estendono complessivamente per 250 ettari, 230 nella tenuta di Torgiano e 20 a Montefalco (questi ultimi acquistati nel 2000). Annualmente vengono prodotte circa 2 milioni e mezzo di bottiglie.
Molto varia la gamma di etichette con una trentina di referenze, tra le quali ricordiamo il Rosso di Torgiano Rubesco, campione assoluto di qualità al giusto prezzo, il Bianco di Torgiano Torre di Giano Vigna Il Pino, il Montefalco Sagrantino e le due etichette più prestigiose, il San Giorgio e il Torgiano Rosso Riserva Rubesco Vigna Monticchio. Abbiamo degustato il Bianco di Torgiano Doc Torre di Giano Vigna Il Pino 2020, uno dei prodotti storici di Lungarotti che anche in questa annata combina grande qualità con uno stile preciso. E’ ottenuto da uve Vermentino, Grechetto e Trebbiano provenienti da un singolo vigneto che si trova nella tenuta di Torgiano a 230 metri sul livello del mare con esposizione ovest e prende il nome da un grande pino secolare che, fino all’estate del 2020, lo sovrastava. Qui il terreno di natura argillosa ha media profondità e poggia su un sottosuolo calcareo. I sistemi di potatura utilizzati sono il doppio guyot e il doppio cordone speronato, mentre la densità d’impianto è di 4-5 mila ceppi per ettaro. Le rese si attestano mediamente intorno ai 70 quintali per ettaro. Dopo la vendemmia che ha luogo a metà settembre, la vinificazione inizia con una pressatura soffice dalla quale si ottiene il mosto fiore. Il 30 per cento di quest’ultimo fermenta e matura in barrique sulle fecce fini alla temperatura controllata di 21 gradi centigradi per 3 mesi. Il restante 70 per cento viene fermentato in serbatoi di acciaio inox. Nella primavera successiva alla vendemmia si procede all’assemblaggio delle due masse, seguito dall’imbottigliamento e da un ulteriore affinamento che si protrae per un periodo variabile da 1 a 2 anni.
Nel calice il Torre di Giano Vigna Il Pino si presenta di colore giallo paglierino carico, brillante e appena tendente al dorato. E’ elegante e variegato all’olfatto con profumi di susina gialla, pesca e frutta esotica, delicati richiami floreali, pietra focaia, una nota agrumata e sottili erbe aromatiche. Il suo carattere fine è evidente nell’intensità misurata dei profumi, nella loro nitidezza e nell’armonia del bouquet. C’è una complessità che potremmo definire “sussurrata” poichè gioca più sui chiaroscuri che sulle tinte forti. Il palato ricalca perfettamente il naso, non solo nella parte aromatica, ma anche e soprattutto nello stile. E’ fresco, dotato della giusta consistenza, ordinato nella progressione e molto ben bilanciato. Chiude lunghissimo tra sapidità e una piacevole scia citrina. Si tratta di un bianco importante davvero ben fatto che combina consistenza e slancio, trovando nel grande equilibrio il suo punto di forza. Adatto ad un gran numero di abbinamenti, darà il meglio di sé con le pietanze raffinate. Bevetelo con piatti a base di molluschi e crostacei, con un pesce al forno, risotti, zuppe e primi della cucina di terra di vario genere, spaziando dai sapori delicati a quelli più decisi.
Rubrica a cura di Salvo Giusino
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