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Vini e territori

Doc Etna off/2. Sonia Gambino: con i miei vini di Maletto c’è un terroir tutto da scoprire

16 Gennaio 2023
Sonia Gambino - ph Giacomo Bruno Sonia Gambino - ph Giacomo Bruno

di Alessia Zuppelli

Dal versante nord muovendo verso ovest, poco prima di arrivare a Bronte, si incontra il piccolo comune di Maletto, in quel limbo etneo conosciuto in epoche scorse come ducea di Nelson.

Maletto, dove, come altri luoghi e contrade del Vulcano, il vino per il contadino era un vero e proprio alimento, non è mai stata certamente conosciuta come particolare zona vocata, godendo di scarsa fama in tal senso se non per una particolare varietà di fragola che oggi è anche un presidio Slow Food. Ma è qui che c’è un’altra Etna, come racconta Sonia Gambino, enologa originaria di queste zone con un trascorso di studi e di esperienze in Piemonte e in giro fra il vecchio e il nuovo mondo enoico. Da qui è ripartita con i suoi vini rilasciati lo scorso 2022 “Gustinella”, proprio lei, nipote del nonno Gustinello che in paese qualche generazione addietro, grazie al suo palmento, vinificava le uve per i contadini del luogo. Contadini che oggi rappresentano nel lavoro quotidiano eredità e memoria del suo presente. È la “verginità” del territorio che ha conquistato la giovane vignaiola. L’integrità combinata con la diversità delle colture e le vigne centenarie sospese in un tempo passato di cultura contadina hanno offerto quel quid in più rispetto al confine della denominazione Etna, come ha modo di spiegare lei stessa: “Il paese è escluso dalla Doc sia in termini orizzontali, intendo la striscia Maletto–Bronte, che verticali. Ci troviamo a 900 metri di altitudine, le vigne vanno dai 1.000 ai 1.100. Questa zona così alta e difficile è stata meno esplorata e meno esposta così a tutto il fenomeno Etna. Se la Doc può essere un’etichetta che porta vantaggi, nel mio caso l’interesse è stato focalizzato sulle vigne e sul loro valore, qui non sono arrivate grandi aziende. È un territorio vergine, integro, dove non c’è stata una selezione varietale o sviluppo di impianti. Si è mantenuta quella diversità in vigna e di colture varie che hanno fatto sì che questo territorio rimanesse come cent’anni fa. Questo ha rappresentato per me un grandissimo valore vista la tanta varietà genetica”.

(ph Giacomo Bruno)

Eppure quella striscia “orizzontale” come ha spiegato Sonia Gambino, rivela un passato di non poco conto in un’ottica storica proprio in queste zone oggi escluse. Il motivo della diversità del territorio e dei vitigni – qui è assente sia il Nerello Mascalese che il Carricante per motivi legati sostanzialmente alla maturazione delle uve – è da rintracciare infatti nel passato e negli esperimenti compiuti da chi ha coltivato le terre dell’ammiraglio inglese, come prosegue la produttrice: “Il nord ovest era parte della ducea di Nelson, e proprio questa zona qui ha vissuto una fase di successo, perché anche se l’ammiraglio Nelson non ha mai vissuto da queste parti, c’è stata la volontà forte di renderla un’area importante per la viticoltura. Così è nato un grande palmento a Maniace per fare del vino una grossa produzione per il mercato inglese. Si fece un grande lavoro di ricerca, ed è cosi che chiamando tecnici dalla Francia e dalla Spagna, si sperimentarono uve come Grenache e altre, tipo Syrah, Pedro Ximenez. Cosa ci fanno queste uve qui? Sono prove di questa ricerca per un vitigno migliore. Questo lavoro è interessante dal punto di vista varietale. Qui siamo proprio su un’altra Etna che secondo me è ancora tutta da studiare”. Un Etna che esprime nei rossi una versione tipicamente vulcanica del Grenache rispetto alle coste spagnole e mediterranee, e nei bianchi un profilo più aromatico e pieno offerto dalla prevalenza del Grecanico Dorato. Vini con acidità più alte e con diverse sfumature secondo i diversi stili di vinificazione.

(ph Giacomo Bruno)

Un Etna, quella di Maletto, che nella visione di Gustinella si esprime in quattro etichette (NV): Vino di Confine, frutto della vinificazione “mista”, Jungìmmue vino bianco da Minnella, Albanello, Trebbiano e altre varietà, Jungìmmue rosato, Jungìmmue rosso da Grenache, Tinto Nero e altre varietà. E a questo punto cosa vuol dire per Sonia Gambino produrre un vino fuori dalla Doc? Lei ha la risposta pronta: “Anche io produco vino sull’Etna, anzi sono anche più vicina alla vetta. Per il tipo di prodotto che faccio non incontro difficoltà. La mia azienda piccola e artigianale produce circa 5.000 bottiglie, sia per l’Italia sia per l’estero. La mia bottiglia ha bisogno di un’etichetta dettagliata per un mercato di nicchia. Sull’etichetta non c’è scritto Etna, però in un’ottica allargata su certi mercati il nome è un elemento che traina. Tuttavia incontro sempre gente con tanta curiosità e voglia di scoprire prodotti nuovi, diversi”. Sarà questa curiosità e la posta in gioco di una “new generation” ad avviare una seconda stagione dei vini dell’Etna? La Doc potrebbe ridisegnare i suoi confini attraverso un ulteriore lavoro di zonazione? Sono questi i quesiti sui ci si interroga con la produttrice, la quale così conclude la sua visione “off” dell’Etna: “Gli studi sulla zonazione richiedono anni di lavoro. È necessario prima prevedere una fase propedeutica, però sicuramente il fatto che ci siano sempre più aziende che si stanno un po’ allargando o iniziando a lavorare fuori Doc porterà a riflettere su questo aspetto o per includere queste zone o eventualmente creare nuove denominazioni. Sicuramente va fatta una differenza perché anche includere tutto nella stessa pentola può creare confusione”.

LEGGI QUI L’INTERVISTA A MIRELLA BUSCEMI>