di Giorgio Vaiana
Dai cambiamenti climatici, alla necessità di essere in grado di accumulate l’acqua piovana, passando per l’italian sounding e le sfide future.
Un fiume in piena Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, che ha organizzato il Villaggio a Palermo. Si comincia con la questione dei cambiamenti climatici, “ormai sotto gli occhi di tutti”, dice Prandini. E poi si parla di infrastrutture: “Assurdo che i bacini di accumulo riescano solo a trattenere l’11 per cento delle acque piovane. Dobbiamo arrivare al 50 per cento e contiamo di farlo in poco tempo”. Poi la questione del record dell’export del Made in Italy “che ha superato quota 60 miliardi”, con la problematica dell’italian sounding: “Vale più di 120 miliardi – dice Prandini – Il contrasto a questo fenomeno, credo che sia una sfida da affrontare e da vincere nei prossimi dieci anni. Perché potrebbe voler dire creare un milione di posti di lavoro in più, ma anche aumentare il valore della nostra filiera dell’agroalimentare che vale, fino ad oggi, oltre 580 miliardi di euro”. La pandemia, e lo scontro Russia-Ucraina “ci hanno fatto capire che non è assodato che non ci mancherà mai il cibo – dice Prandini – Bisogna avere una visione strategica che diventa necessaria per aumentare la capacità produttiva del nostro paese. Chiaro che non potremo mai essere autosufficienti in tutte le nostre filiere, ma possiamo fare tanto in alcune, penso al cerealicolo od ortofrutticolo. Una sfida alla nostra portata. Dobbiamo però, essere bravi a non sprecare le risorse del Pnrr”. E Prandini cita i numeri di questa “fame” di risorse: “La prima vera domanda di bando di filiera aveva previsto un miliardo di risorse – dice – Ebbene, sono arrivati progetti per cinque miliardi, segno di un comparto molto attivo e propositivo”. Ultima questione: la produzione di grano: “Dove ci sono i contratti di filiera, abbiamo aumentato la capacità produttiva – dice il presidente – Oggi siamo al 55 per cento del fabbisogno nazionale. Ma negli anni abbiamo perso il 30 per cento della capacità produttiva nazionale a causa della bassa redditualità. E poi c’è anche la questione legata ai danneggiamenti della fauna selvatica. In alcune zone, il 70 per cento del raccolto viene distrutto dai cinghiali o altri animali. Bisogna attivarsi subito per dare risposte e garanzie ai produttori”.
Riprese e montaggio Vincenzo Ganci, Migi Press