di Titti Casiello
Era il 1957 quando sul settimanale francese l’Express spuntò in prima pagina un articolo dal titolo la Nouvelle vague.
La nuova onda si riferiva al fermento culturale creato dai giovani francesi in quel periodo. E fu poi Pierre Billard che nel febbraio del 1958, sulla rivista Cinéma 58, diede nuovamente impulso a quell’insolito titolo riferendosi, questa volta, al fervore cinematografico che in quegli anni pullulava soprattutto per i film presentati ogni anno al festival di Cannes. Ebbene fatto sta che quel titolo ha segnato il conio di una nuova espressione idiomatica: perché la Nouvelle Vague è oggi considerata la somma ultima di tutto quanto evochi innovazione, brio e fermento che solo le nuove generazioni sanno creare. E non poteva di certo allora mancare una Nouvelle Vague del vino, men che mai poi, di quella francese. Un’ondata di giovani, passionali e fervidi vignaioli animati da un amore che ondeggia a metà strada tra la modernità ( o semplicemente l’attualità per loro) e il rispetto delle tradizioni. E così in una Masterclass guidata da Federico Latteri e Giovanni Brischetto dell’azienda Selectia tra Beaujolais e Bourgogne “la Nouvelle Vague est arrivè” anche a Taormina Gourmet 2022. In degustazione, in un percorso che dalla Loira passa per l’Alsazia, arrivando in Borgogna e sfiorando il Rodano, i vini del futuro (o se si vuole del presente), ma con radici ben piantate nel passato.
Champagne – Chavots
Una Maison dove coesistono due generazioni, quando da quel lontano 1946 – anno di fondazione della Maison – fino ad oggi in cui si scrive, padre e figlio continuano a produrre con orgoglio e volontà vini pienamente rispondenti al nome stesso dell’Azienda, ovverosia vini del territorio. Chavost è, infatti, il nome ancestrale del villaggio in cui sono situati i 5 ettari di vigna di proprietà della famiglia, condotti in regime biologico. Cinque ettari per produrre Champagne, cinque ettari per produrre Champagne di Chavot, cinque ettari per produrre Champagne “con il minor input possibile, a volte con nessun input” riprendendo le stesse parole di Luis Chavot, il figlio. E questo vale soprattutto per il Blanc d’Assemblage Brut Nature, frutto di un 47 % di Chardonnay, 47 % di Meunier e 6 % di Pinot Noir (principalmente del millesimo 2017) mentre il resto è tutto frutto di vin de reserve di vecchie annate, tutte da sole fermentazioni spontanee. Ebbene da queste vigne situate a sud di Epernay ne viene fuori uno Champagne che gioca dapprima su note marine e fiori bianchi, per poi concedersi a delicate note di pan brioche appena sfornato. Mentre un sorso, che gioca su un effervescenza pulita e non eccessiva, regala giovinezza al palato in un scia di freschezza dalla media persistenza.
Pin’Eau de Loire Les Grandes Vignes 2021 – Vaillant
La famiglia Vaillant è un caposaldo della Loira del vino. E’ un pezzo di storia che risale al XVII secolo e che oggi viene scritta da Laurence, Jean-François e Dominique Vaillant. Sono questi tre giovani che gestiscono gli attuali 55 ettari di vigna e lo fanno custodendo i lasciti culturali dei loro antenati, ma lo fanno, al pari, anche interpretando i vini secondo il loro stile. E la conferma arriva, ad esempio, anche nel nome stesso del vino in degustazione che partendo dal Pineau de Loire, così chiamato in origine lo Chenin Blanc, viene modificato nella sua etimologia. E così grazie ad un accento diventando “L’acqua di Loira”. Il vino, che mantiene volutamente un po’ di zucchero residuale, anticipa subito al naso una ricchezza olfattiva tra l’albicocca e il mango, per poi regalare l’essenza stessa del suo luogo di origine con note iodate, a tratti salmastre. Ma la sorpresa è, però tutta nel sorso che rappresenta il suo stesso ossimoro, dove leggiadria e freschezza chiudono in un punto finale di incredibile salinità.
Alsace Sylvaner Matin Fou 2021 – Christian Lindenlaub
La sua storia, nel cuore dell’Alsazia inizia più di due secoli fa. E oggi viene interpretata secondo i canoni moderni da Christian, la cui prima opera è stata quella di convertire ii dieci ettari estesi lungo le colline di Dorlisheim e Mutzig in regime biodinamico. Tanta attenzione e molta passione per un calice che però, in degustazione non riesce a reggere la tensione. Ma questo è anche il bello ( o il brutto) dei vini totalmente naturali. Al pari degli esseri umani, non tutti i giorni possiamo essere in forma smagliante.
Lirac Rosé 2021- Romain Le Bars
Romain Le Bars è uno di quei vignaioli naturali dove capisci esattamente che questo filone di viticultura non ha nulla a che fare con la “necessaria” ( ma perché poi?) accettazione che ci possano essere delle imprecisioni. Qui nell’estremo sud del Rodano, Romain lavora su un minuscolo vigneto di 1,50 ettari e la sua viticoltura sta tutta sulla vigna. Poco attento alla forma, molto alla sostanza. La dimostra è in un calice che in un mondo di rosati ruffiani lui è distante anni luce. Neanche li sfiora. Un vino del territorio, di cui il 75% è costituito da Carignan e il 25% da Mouvedre. Un vino che così sottile e delicato dove è difficile acciuffare la vera matrice olfattiva, eppure sa regalare immediatamente una sensazione: distensione. Mentre un sorso sapido sa lasciare spazio ad un’altra sensazione, la pienezza e l’avvolgenza di un palato notevolmente soddisfatto.
Bourgogne Rouge L’Equilibriste 2020- Domaine de la Cras Marc Soyard
Marc Soyrad ha una bella storia da raccontare. Allievo di Bizot. E forse di lui eredita la precisione che questo storico produttore della Borgogna traspone in tutti i suoi vini. Quella stessa che Marc Soyrad ora traspone nel suo Domaine a Digione. Il suo naso è incenso, poi l’odore della vera cola e poi i fiori blu dove è l’iris a regalare finezza e suadenza olfattiva. La trama tannica è una “tripla f”: fitta, fine, fascinosa. Il sorso è tanto profondo quanto fresco. Non si dimentica velocemente.
Beaujolais Village Sous le Sabot 2020– Famille Renard
Sono 4 gli ettari di Famille Renard i cui vigneti danno vita a vini a denominazione sia di Morgon che di Beaujolais-Villages. Tutte vigne convertite in biologico e che guardano alla biodinamica, tra terreni lavorati a cavallo e fermentazioni rigorosamente spontanee. E Sous le Sabot, le cui vigne sono situate principalmente nell’areale di Fleury, è la prugna e la viola ad emergere, in un sorso di potenza che rimanda alla polpa della frutta. Forse una piccola nota di pulizia olfattiva avrebbe giovato ulteriormente alle già insite capacità del vino.
Baconelle 2021- Gerard Marula
Azienda giovanissima, che vede il suo genetliaco nell’anno 2005. Oggi gli albori della critica l’ hanno addirittura definito il successore di Clos Rougeard. Forse un fardello e una responsabilità troppo eccessiva. Ma chi mai potrebbe competere con i fratelli Focault d’altronde? Il re indiscusso del Cabernet Franc resta ancora lo storico Domaine. Ma in ogni caso dal calice emerge un cabernet Franc in purezza territoriale che rimanda al suo terriotiro. E’ esattamente un vino della Loira, forse da aggiustare un po’ in finezza gustativa. Ma la strada è quella giusta.
Les Terres Blanches 2018 – Premier Cru Nuits Domaine Nicholas Morin
La nouvelle Vague forse risulta un po’ difficile da sostenere nella Borgogna più pura. Qui i titani sono così radicati che soprattutto in un territorio sacro come Nuits San Georges, forse risulta davvero difficile generare rivoluzioni così drastiche. Ma Nicholas Morin ci prova. E a tratti ci riesce. Con un pinot bianco dai toni boisè e dalla avvolgenza gustativa che inizia seppur a piccoli passi a ricordare la Borgogna.
ALCUNE FOTO (Vincenzo Ganci, Migi Press)