di Titti Casiello
Non poteva trovare altro titolo la masterclass su Pieropan: “Calvarino, Il grande bianco”.
Nell’etimologia di questo aggettivo qualificativo la parola, infatti, sta ad evocare qualcosa che supera notevolmente i valori o le dimensioni consuete. Ebbene – in un percorso a ritroso dall’anno 2020 all’anno 2003 (più un “Calvarino 5”) – il Soave di Pieropan ne esce con un’unica e incontrovertibile aggettivazione: grande. E se grande è la cifra stilistica di questo produttore, lunga è, poi, la storia stessa del Soave Doc, una delle denominazioni italiane più antiche che trova solo nel Chianti e nella Vernaccia di San Gimignano le due sorelle più anziane. Il Soave nasce da un assemblaggio di due vitigni autoctoni a bacca bianca, principi incontrastati dell’areale veneto: la Garganega e il Trebbiano di Soave. Ebbene questi vitigni, insieme, paiono diventare i perfetti complementari per una ricetta di una quasi perpetua longevità: lei, la Garganega, regina della morbidezza e del corpo, lui, il Trebbiano di Soave, re della freschezza e della dinamicità. Da loro: il matrimonio perfetto ( se esiste) per uno dei vini che può attraversare e vedere tranquillamente dei ricambi generazionali senza mai adattarsi alle mode del momento.
“E Calvarino nasce cinquant’anni fa e nasce fuori dalle mode anche di quell’epoca. Come disse Luigi Veronelli, infatti, Calvarino è un abito blu per un uomo”. E’ così che apre la degustazione Andrea Pieropan (agronomo) che, insieme a suo fratello Dario (enologo), guida con coerenza il lascito e gli insegnamenti di suo padre Leonildo, dopo la sua dipartita.
Pieropan è, infatti, una di quelle aziende completamente avulse dalle influenze del mercato. Lo dimostrano i suoi vini, che di classico portano anzitutto il nome stesso della loro denominazione, Soave Classico appunto: questa piccola area di appena 1200 ettari tra le colline che ripercorrono il comune di Soave e quello di Monforte d’Alpone. Lo dimostra ancor di più la volontà di decidere sempre secondo ragione e non secondo gli andamenti ( men che mai quelli del mercato), come quando nel 2007, si arrivò addirittura a perdere la denominazione dai propri vini pur di portare avanti le proprie convinzioni. Il Tappo a Vite. Scempio ed eresia per il Consorzio, ma non per Leonildo né per i suoi figli, che avevano visto ( e visto il giusto) in un tappo che poteva solo accompagnare la giusta evoluzione del loro vino. Ci sono voluti sei anni, ma alla fine il tappo a vite è stato ammesso nel Disciplinare di produzione del Soave Classico. Verrebbe allora da dire che Pieopan non è un’azienda controcorrente, ma tuttalpiù un’azienda pioneristica.
Perché contro la tradizioni mai, ma contro forme incondizionate di stereotipi però si, come quando si decise di affinare in vasi di cemento: “Il vino in acciaio ci è sempre parso in tensione, cercavamo un contenitore che potesse distendere i nostri vini, senza alterarli. Il cemento ci garantisce che le loro fibre muscolari siano calme e distese, così’ da presentare il Soave per quello che è”. Ed è da tutti questi presupposti che nasce il Soave Classico Doc Calvarino. Vigna storica acquisita dalla famiglia nel lontano 1901 le cui viti, l’anno prossimo, arrivano a festeggiare il loro cinquantesimo compleanno. Sono viti di Garganega e Trebbiano di Soave in un piccolo quadro di Monet di circa 7 ettari dove “soavemente” si distendono i lunghi filari a pergola veronese, affondando le loro radici su un terreno vulcanico, ricco di basalto e di tufo. Ma solo dopo un’attenta selezione dei grappoli e solo dopo una vinificazione per singole parcelle e solo dopo aver assaggiato le singole partite si decide, poi, quali di queste faranno parte del nuovo Calvarino: “Calvarino nasce dalla visione del mio papà, e noi ogni anno cerchiamo di guardarlo con i suoi stessi occhi”. Oggi l’azienda insiste su 44 ettari, per una produzione complessiva di 400.000 bottiglie, di queste solo poche migliaia si fregiano del nome in etichetta di “Calvarino”.
La degustazione
“Calvarino” – Soave Classico Doc 2020
Con una primavera fresca e piovosa che ha consentito un germogliamento sano sin da subito c’erano i presupposti per poter pensare ad una grande annata. E quegli stessi presupposti vengono confermati in un calice che, senza eccessi, sa regalare già una profondità di lettura del territorio tra note di gelsomino e di anice e leggeri rimandi di confettate. Il sorso è equilibrato, in un giocoforza dove la freschezza e la sapidità sanno tenere a bada l’avvolgenza di un palato che regala una chiosa di piacevolissima eleganza finale.
“Calvarino” – Soave Classico Doc 2016
La classicità del Soave trova in questo calice la sua descrizione. E’ qui che sta l’assenza delle mode e la storicità di questo vino, tra la maturità olfattiva regalata dalla nota di una pera cotogna all’intensità del mallo di noce. La ricchezza gustativa, propende verso le sue morbidezze, pur lasciando spazio a sprazzi di freschezza che regalano brio nel finale.
“Calvarino” – Soave Classico Doc 2013
Precisione, classe ed eleganza olfattiva traghettano il gusto in un mirabile equilibrio tra echeggi di stili e ricordi francesi, della Borgogna del Nord.
“Calvarino”- Soave Classico Doc 2005
Se un’annata ricca di arsura tra una primavera e un inverno carenti di pioggia, hanno stabilito i canoni oggettivi di un’annata difficile, il calice mostra che le statistiche non sempre hanno ragione. Apre in semitono, senza nessun terziario ridondante, ma è, anzi, il litchi e poi la pietra focaia a stabilire un elenco olfattivo così gioviale da toglierglieli almeno cinque anni di vita, e poi un agrume esile e sottile sa mantenere in equilibrio un etoile che continua a volteggiare nel calice. E in piena coerenza il sorso è sottile, viaggia, quasi ondeggia, fermandosi in ogni spazio del palato, lasciando scie di avvolgente morbidezza e freschezza al pari. Elegantissimo.
“Calvarino” – Soave Classico Doc 2003
L’evoluzione olfattiva dei terziari pare avere la meglio tra il mallo di noce, la confettura di mela cotogna e odori di castagno, mentre un sorso avvolgente e discretamente acido pare notiziare che è questo il suo momento esatto di bevuta e non oltre.
Calvarino5 – Bianco Veronese Igt
E’ un multi vintage. La versione 2.0 di quello che è, in Spagna, il metodo Solera. E’ infatti un vino ottenuto dall’unione di più annate, tutte però maturate in cemento (2008-2009- 2010 e 2012) e assemblate insieme. E l’incontro di due visioni e due generazioni, è l’incontro tra Leonildo e i suoi figli Andrea a Dario: “Qui usciamo dal millesimo e entriamo nella logica del terroir. E’ il Calvarino a parlare che si sveste dall’annata e dimostra quanto il territorio e una vinificazione in cemento sanno regalare” . Calavrino5 è un vino di sintesi che regala gli odori della terra, una terra vivissima e gioviale, perché sembra nato ieri nonostante la più giovane delle annate ha già dieci anni di vita sulle spalle e profuma di sambuco e fiori bianchi e il suo sorso è fuori dal tempo “un po’ come era il mio papà Leonildo”.
ALCUNE FOTO (Vincenzo Ganci, Migi Press)