Anche Enzo Vizzari, curatore della guida ai vini de l’Espresso dice la sua sulla Doc siciliana. “Troppa pigrizia e poco interesse da parte di tutti. Mai vino è stato più sputtanato. Ma anche Porto e Sauternes non stanno benissimo”
“Marsala,
i perché
di un declino”
“Pochi vini sono stati ‘sputtanati’ come il Marsala. La colpa è di tutti. Troppa pigrizia e nessuna volontà di proporlo e comunicarlo. L’unica cosa da fare è rifondarlo, ridargli una nuova verginità”. Sono le parole di Enzo Vizzari, curatore della guida ai ristoranti e della guida ai vini de l’Espresso.
Lungo l’Italia si trova ancora traccia del Marsala?
“In rarissimi casi. Solo un paio di marchi, De Bartoli e Florio. Per il resto sento parlare di Marsala per quanto riguarda le ricette di cucina. Poi due sono le cose da dire. La prima. Quale che sia stata la causa o l’effetto, pochi vini sono stati “sputtanati” come il Marsala dal punto di vista qualitativo e dell’immagine. Sono circolate cose turpi sotto il nome del Marsala”.
Chi avrebbe la responsabilità di tutto questo?
“La responsabilità è di tutti. Di chi li ha messi in circolazione, di chi li ha comprati, di chi non ha saputo valorizzarne l’immagine e le peculiarità. Se ne è fatto sempre troppo, arrivando al punto di essere costretti a svenderlo e a destinarlo non si sa a che cosa”.
Secondo lei perché si è arrivati a questo punto?
“Perché è mancata dal territorio la convinzione di avere tra le mani un prodotto potenzialmente di eccellenza assoluta. Questa consapevolezza si è persa per strada. E poi, e qui c’è la seconda cosa su cui si deve riflettere: tutti i vini dolci e da fine pasto o da meditazione sono in gravissima difficoltà in tutto il mondo”.
Anche il Porto?
“Assolutamente. Il Porto sta vivendo un momento di forte crisi. Certo ha un’immagine più alta del Marsala. Ma anche il Sauternes soffre. Diciamo che il calo di vendite vale un po’ per tutta questa tipologia di vini, a causa anche della normativa sul consumo di alcol. Il mercato dei distillati per esempio è finito. E c’è un altro problema che pesa poi su questi vini, e soprattutto sul Marsala”.
Quale?
“Che non si è sviluppata comunicazione. Per esempio. Se si è puntato sulla destagionalizzazione dello Champagne, perché nel caso del Marsala non si è fatto capire che è un vino che può essere benissimo consumato in abbinamento ai piatti lungo tutto un pasto? Questo l’ho proposto io stesso, due anni fa, in occasione di una cena organizzata con la Florio. Ci vuole cultura da parte di chi fa questo vino e di chi lo vende e da parte dei sommelier, ultimo anello decisivo per assicurare un posto nel canale della ristorazione”.
Perché questa impasse nella comunicazione?
“Forse per una forma di pigrizia. E’ mancato l’interesse, la curiosità. E’ facile proporre vini facili appunto. Il Marsala non è un vino immediato e per tutti, e se spiegato come si deve può diventare un vino attraente. Non credo poi che non piaccia perché ha tanti anni addosso. Si pensi che la classificazione dei grand cru è stata fatta nel 1855. Il fatto della vecchiaia è relativo, non è particolarmente vecchio”.
Secondo lei merita il posto sulle etichette degli alimenti industriali?
“No. E questo rientra sempre nelle operazioni di ‘sputtanamento’ di cui parlavo prima. Non si può tollerare di vederlo trattato nè più né meno di un colorante o di tutte quelle sigle e sostanze elencate”.
Sul disciplinare cosa pensa?
“Una modifica è un inizio, bisogna pur partire da qualche cosa. Ma non basta. Sono d’accordo su un restringimento delle maglie, anche se più che di maglia, mi sembra una rete. Ma concordo anche con chi sostiene che la Doc non arriva al consumatore medio, che non sa cosa sia. Doc o Docg rimarrebbe un fatto solo fatto nominalistico alla fine. Quindi sono favorevole a più iniziative”.
E il territorio non ha un peso?
“Certo che lo ha. Oggi non si conosce il territorio del Marsala. Questo vino è diventato come la gazzosa o la coca cola nella percezione del consumatore. Non c’è la minima identificazione con il territorio. Qua c’è un percorso da ripensare, dall’inizio e su tutti i livelli. Bisogna rifondare completamente il Marsala. Ancora prima della denominazione”.
Vuole dire qualcosa ai produttori?
“Direi loro di lavorare meglio, di produrre meno, di farlo più buono, badare alla qualità non alla quantità. So che è dura perché il mercato assorbe poco, ma non vedo altra strada. E soprattutto devono imparare a comunicarlo. Un futuro c’è se lo si costruisce. Bisogna voltar pagina, rendersi conto di tutto quello che è stato fatto male. Oggi si vedono molte più nuvole che squarci di luce”.
Se manca nella carta dei ristoranti nelle guide almeno un posto garantito ce l’ha?
“Certo. Io poi non solo lo inserisco e ne parlo, lo premio anche”.
E lo beve?
“Lo bevo spesso e sono un fan del Marsala”.
Manuela Laiacona