Ci fu un tempo, me lo ricordo, in cui si andava nei ristoranti, nelle enoteche e nei wine bar, per scoprire cose nuove, vini nuovi, luoghi remoti, Eno-(o)stili intriganti, attraverso i vini alla mescita, quel tempo non esiste davvero più.
Basta uscire un po’ la sera, per rendersi conto che le opzioni disponibili alla mescita, nella maggior parte dei posti viaggia tra il non esistente e il semi esistente.
Jura, Loira, Grecia, Libano, sono alcuni degli eno-territori che il me stesso più glabro e curioso ha scoperto alla mescita in tempi in cui ancora poteva essere favoloso passare una serata ad assaggiare vitigni dai nomi esotici, a prezzi umani. Era un bel mondo, erano belle notti, ci fosse la luna o meno.
Poi, il nulla. Molti danno sempre la colpa alla pandemia, alla scomparsa dei sommelier dal floor dei ristoranti, (parlare di scomparsa è inesatto perché in Italia, non erano mai comparsi, infatti il sommelier tecnicamente è una persona che ha dei premi sui fatturati, se non ne ha, è solo un cameriere che serve vino), molti all’avidità dei poveri ristoratori, alla guerra, al riscaldamento globale.
L’eno mondo della ristorazione italiana presenta ora, ricarichi sulle bottiglie livelli Pablo Escobar, un personale al tavolo che le apre con crescente scarsità di entusiasmo e un programma alla mescita che ha la stessa allegria di una reunion di compagni delle medie.
Di solito le opzioni proposte alla mescita provengono direttamente dalle parti basse o bassissime della lista a bottiglia, semplicemente maggiorati ancora di più, mai bottiglie interessanti, nuove o peggio strane, col coefficiente di scoperta e di sorpresa ricorda i risultati delle elezioni russe.
Quelle rare volte che si può trovare alla mescita qualcosa, non dico di francese, sarebbe chiedere troppo, ma almeno di italiano gagliardo e meno visto i prezzi tendono ad essere pari a quelli dei cocktail.
Non stupisce quindi che la tanto ambita Gen Z e la sfuggente categoria in generale, dei giovani (che se in Italia si facesse coincidere con quella di chi vive ancora con genitori, zie e parenti vari arriverebbe a lambire i cinquant’anni) sia sempre meno incline a bere vino.
Se un bicchiere di metodo classico, un (più o meno) banale Chenin Blanc costa come una Martini o un gin tonic, che hanno un sapore e uno status riconoscibile, ci saranno sempre meno persone inclini a sperimentare, scoprire vini differenti, meno mainstream, più nuovi.
Se la lista by the glass diventa solo un prolungamento con markup più alti della parte bassa e meno interessante della lista normale, si assisterà, come già si assiste a un restringersi della biodiversità enoica, in un circolo vizioso o loop, dove tutti continuano a bere quei tre vitigni che già conoscono, nello stile che già conoscono, delle cantine, che già conoscono.
Vi pare un bel mondo? A me non tanto, ma sembra essere l’unica eno-direzione a cui la ristorazione sembra voler puntare, tenendo chiuse le bottiglie più interessanti, come forzieri chiusi, lasciando le future generazioni di potenziali clienti spostarsi in via definitiva su spirits e cocktail, versatili, capibili e replicabili.
Un programma alla mescita ben calibrato e gestito in modo intelligente potrebbe aiutare ad alleggerire gli stock, alla fidelizzazione della clientela, ma sopratutto a creare curiosità e novità in un mondo, quello della ristorazione dove queste due cose vanno sempre più scarseggiando.
Tornare dopo mesi nello stesso ristorante per trovare alla mescita le stesse tre bottiglie di rosso, è ormai la norma nella ristorazione italiana, in cui cambia tristemente più spesso il menu del cibo di quello dei vini, che non conosce nessun tipo di stagionalità e lettura dei tempi.
In questo clima, anzi le bottiglie che si trovano alla mescita sono spesso, devalorizzate, come se il fatto stesso di poter essere sbicchierate, facesse di loro una categoria a parte di eno-paria, una sorta di serie b, di lega minore del vino.
Nel gergo degli addetti ai lavori ormai nella categoria vino da mescita o vino da lavoro ci sono solo bottiglie che non aspirano a regalare né qualità gustativa né emozione, liquidi impersonali e omologati da dare in pasto a una clientela sempre meno consapevole e ambiziosa.
L’agonia della lista by the glass, è uno dei motivi per cui il mondo del vino non genera curiosità tra i giovani bevitori di domani che tra spinte talebano salutiste e ricarichi da narcotraffico, sembrano, giustamente preferire altri liquidi.
La biodiversità è sempre preziosa, ridateci quella dell’eno-mondo, ridateci una mescita per cui valga la pena uscire di casa, ridateci la curiosità della scoperta, ridateci notti di felicità!