di Giorgia Tabbita
Un forum oltreoceano sull’export del vino italiano in uno dei mercati più importanti, ovvero quello statunitense con esperti di internazionalizzazione e importatori.
C’erano Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani; Antonio Benanti presidente dell’Etna Benanti Viticoltori; Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino; Gino Colangelo, patron di Colangelo e Partners importante agenzia di PR a New York e punto di riferimento per la promozione del vino italiano negli Stati Uniti; Silvana Ballotta, titolare di Business Strategies, società che si occupa di internazionalizzazione del vino italiano; Nunzio Castaldo, presidente di Panebianco Wines Import; Tara Empson, amministratrice delegata di Empson USA. E sull’argomento si è subito precipitato Gino Colangelo, affermando che “la vendita del vino negli States è sempre in pari rispetto agli anni passati, con un cambiamento del panorama del vino che ha visto diffondersi sempre più i siti e-commerce. In questa settimana ci si sta focalizzando molto su una settimana dedicata al Prosecco – ha aggiunto – con più di 500 negozi che partecipano alla sua promozione. Una delle cose più rilevanti di quest’evento è che le aziende vinicole ricevono i contatti dei buyer che li aiutano consequenzialmente con la vendita”. Sulla stessa linea d’onda è Tara Empson che, seppur riconoscendo le difficoltà del momento, afferma che sicuramente bisogna adattarsi cercando di trarne il meglio. “Questo determina però anche che tipo di importatore sei – sostiene la Empson – tenendo conto della possibile chiusura del circa 30% dei locali e dei ristoranti. A New York, infatti, i locali con spazi interni rimarranno chiusi fino a non si sa ancora quando, quindi sarà una ripresa molto lenta”.
E dall’Italia, quello che si può intuire è “che i consumi sono rimasti buoni, ma con un cambiamento del metodo d’acquisto – ha spiegato Matteo Ascheri, Presidente del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani – Meno ristorazione e più vendite al dettaglio e vendite online. Nel breve periodo speriamo di recuperare la parte legata alla ristorazione. Fortunatamente, in tempi non sospetti, ci siamo mossi d’anticipo con una piattaforma dedicata proprio alla compravendita del mondo del vino. Il mercato americano, per quanto concerne il Barolo e il Barbaresco, assorbe circa il 25-30% del prodotto”. “Credo che in questo momento si debba fare più comparto di prima, – ha sottolineato Nunzio Castaldo – ci deve essere un filo conduttore maggiore e molto più intenso da parte del produttore, attraverso i Consorzi, che in questo momento diventano dei partner essenziali. Noi in Panebianco abbiamo 55 produttori molto piccoli con cui ci confrontiamo giornalmente. Anche un piccolo contatto può essere importante”. “Noi continuiamo a dire che il bicchiere è mezzo pieno. Noi italiani abbiamo sempre rialzato la testa, ma non mi sarei mai immaginato di trovarmi di fronte un evento di tale portata. – prosegue Bindocci – Il 2020 era un anno all’insegna del grande ottimismo, con tanti ordini dall’America. Abbiamo chiuso il 24 febbraio Benvenuto Brunello con grande successo e il mondo era tutto rose e fiori, purtroppo sappiamo tutti cos’è accaduto, ma nella disgrazia dello sbandieramento dei dazi di Trump, abbiamo convinto i nostri importatori a far entrare i vini agli inizi di gennaio, quindi le vendite anche del Brunello di Montalcino sono in linea con gli anni passati a livello di numeri”.
Ma come vivono questo momento east coast e west coast? “Non c’è grande differenza tra east coast e west coast al momento, rispondono più o meno allo stesso modo – sottolinea Colangelo – Non vogliamo concentrarci su un’azienda singola in sé, ma utilizzare il riconoscimento generale brandizzando il vino in modo tale da indicare la sua provenienza”. Una situazione sicuramente inaspettata, ma come può cambiare il mercato? “La questione Stati Uniti sarà più complessa che da altre parti – spiega Silvana Ballotta – con un’ottica che dovrà rivedere le nostre solite modalità rimettendo tutto in gioco. Al di là delle questioni prettamente commerciali, io mi permetto di fare notare che questo è il momento in cui bisogna tenere duro senza perdere le posizioni conquistate fino ad oggi. Bisogna sfruttare i soldi della promozione proprio adesso andando incontro ai consumatori e facendo in modo che questi soldi siano snelli, efficaci”.
E dall’Etna la situazione sembrerebbe essere abbastanza positiva. “Il mercato americano è di fondamentale importanza. – spiega il Presidente Benanti – Il vino dell’Etna è ritenuto un vino di grande eccellenza, pertanto un mercato di qualità. Al momento sembrerebbe che sia uno dei mercati che sta reggendo meglio, continuando con le vendite”
Più che marchio e singola azienda, dunque, la parola chiave è: brand. “In America c’è uno studio che certifica che l’80% degli acquista deriva da una fase emotiva, da qui possiamo dedurre che il Made in Italy come franchising dovrebbe essere sorretto ancor di più. – spiega Cataldo – Il Made in Italy c’è spuntato tra le mani attraverso il turismo, il food, il vino, la moda, ed è quello su cui dobbiamo puntare. Rispetto all’e-commerce, invece, e a tutti i portali di vendita, li vedo in grande crescita. E’ un servizio ottimo per quello che è essenziale in America: la praticità”.