La vendita diretta di vino ai privati dentro i confini europei non è una prospettiva sfumata.
I vignaioli e i piccoli produttori possono tirare un sospiro di sollievo e ricominciare a sperare. Per l’istanza che chiede lo snellimento della compravendita e il superamento delle accise si apre uno spiraglio. E' stato fatto un passo in avanti. La Commissione Europea ha deciso di avviare uno studio su questa forma di vendita di cui si è fatta promotrice a Bruxelles la Confédération Européenne des Vignerons Indépendants, l’organizzazione internazionale che riunisce i vignaioli indipendenti europei, presentrando un documento sulla semplificazione della materia che poi ha portato a due interrogazioni parlamentari. Adesso è pronto il questionario che servirà all’indagine. Verrà presto inviato, a giorni, e sottoposto ad un panel di produttori selezionati in tutta Europa. Stilato per sondare e comprendere i vantaggi, le difficoltà, l’impatto della vendita diretta per chi la pratica. Ad averlo visto stampato è stata proprio la presidente della Fivi Matilde Poggi, a Palazzo Justus Lipsius, alla sede del Consiglio, dove si è recata qualche settimana fa. Seguiranno lo studio la Direzione generale dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale della Commissione Europea e la Direzione Generale Fiscalità e unione doganale.
“L’Unione Europea è stata fondata per la libera circolazione delle merci e delle persone – dice la Poggi – invece si impedisce di vendere direttamente al privato di un altro stato comunitario. Siamo tutti obbligati a nominare il rappresentante fiscale che si occupa della transazione e del trasporto, a sottoporci a trafile burocratiche onerosissime. Praticamente siamo costretti ogni volta a pagare una gabella che fa lievitare il prezzo del vino. Paghiamo la spedizione e paghiamo la gestione della pratica accise anche quando queste, sia nel Paese di partenza che di destinazione, sono a zero. In questo modo si penalizzano i piccoli produttori che non hanno una distribuzione globale, si congela il commercio. Si fa tanto per fidelizzare il cliente che viene a trovarci o che acquista da noi il nostro vino, ma poi si finisce col perderlo una volta rientrato a casa, nel proprio Paese, non potendo più vendere alle stesse condizioni che avevamo applicato in cantina o nel nostro punto vendita. La Fivi da tempo si batte in prima linea per cambiare le cose insieme alla Cevi, di cui fa parte”. Per la presidente la decisione presa dalla Commissione è un traguardo, un segnale positivo che mostra , oltre l’interessamento, la volontà da parte delle istituzioni di approfondire la questione e probabilmente di valutare nuovi orizzonti di mercato.
Una buona notizia che rincuorerà sicuramente anche il sistema dell’e-commerce.
Lo studio è un buon esempio di cosa può mettere a frutto la pressione di una lobby positiva. “In Italia spesso ci abbandoniamo alla sfiducia. Le istituzioni ci appaiono lontane. C’è lassismo e ogni cosa viene vista difficile da portare a termine. Così si rinuncia a battere i pugni sul tavolo. Certo, la realtà in cui siamo immersi non incoraggia. Dal 2008, data in cui è nata la Fivi, ad oggi abbiamo avuto sette ministri dell’agricoltura”, commenta la Poggi la quale spera di incontrare presto il ministro Martina per sottoporgli la proposta della Creazione di un Ufficio Centrale per l’Approvazione delle Etichette. Altra battaglia di cui si è voluta fare carico la Fivi alla luce dei costi, in termini di tempo e denaro, che i produttori devono affrontare a causa della mancanza di un’interpretazione coerente della materia da parte degli enti certificatori e di un modello chiaro. “Avevamo inviato la proposta al Ministero senza ricevere mai una risposta, poi nel frattempo è cambiato pure il ministro. Adesso faremo di tutto per fissare un incontro con Martina”.
Agguerrita la Fivi. Che nel frattempo si allarga. Altri 19 nuovi produttori si sono associati. Sale così a quota 769 la rosa dei produttori che sposano i principi della federazione. “Prima avevamo qualche adesione quando organizzavamo i mercati del vino (il prossimo a Piacenza dal 29 al 30 novembre). Ora durante l’anno vediamo un flusso continuo di domande, i vignaioli chiedono di entrare a far parte della Fivi. Questo è un risultato importante. Da un lato perché girano più bottiglie con il nostro logo e siamo presenti anche in ristoranti ed enoteche importanti. Siamo cresciuti in termini di visibilità. E si parla anche tanto di produzione familiare. Quest’anno è l’anno europeo dell’agricoltura familiare di cui siamo rappresentanti. E c’è poi la moda del vino naturale e artigianale. Anche se nell’usare questi termini bisogna essere cauti. Un soggetto che fa parte del mercato dell’industria può dichiarare di essere artigianale solo perché di piccole dimensioni. Per noi questa parola ha un altro significato. E’ il legame con la terra, con le proprie radici”. Ecco le 19 aziende che hanno aderito alla Fivi. Dal Veneto Massinago, Francesco Follador, Corte Aleardi, Col del Lupo; dalla Toscana Palazzo di Piero, Laura Perini, Podere Bellosguardo; dal Piemonte Barbaglia, Le Marne, Cascina Gilli, Ilaria Salvetti, Al di Là del Fiume di Danila Mongardi; dalla Sicilia Spadafora; da Friuli Venezia Giulia Silvano Ferlat, Il Carpino, Canus; dalle Marche Angeli di Varano, Quaresima; dalla Lombardia Lazzari.
Manuela Laiacona