di Michele Pizzillo
Comunicare il territorio. Prima di tutto il Trentodoc e la sua peculiarità di essere bollicine di montagna perché ottenute da uve raccolte in vigneti che arrivano sino a 800 metri di altitudine, poi le singole cantine.
È una visione che abbiamo percepito nei primi due giorni di “Trentodoc. Bollicine sulla città”, evento arrivato all’undicesima edizione e organizzato da Camera di commercio, Istituto Trentodoc, Consorzio vini del trentino, con il supporto della Provincia autonoma di Trento e in collaborazione con Strada del vino e dei sapori del Trentino, Strada dei formaggi delle Dolomiti, Strada della mela e dei sapori delle Valli di Non e Sole, con la partecipazione di Apt Trento, Monte Bondone, Valle dei Laghi.
E, così, la comunicazione del territorio comincia con i dati statistici: è vero che sono solo una sequela di numeri, ma quasi sempre danno l’idea di che cosa si sta parlando. Nel caso di Trentodoc, i numeri dicono che la spumantistica di questo territorio, nel triennio 2012-2014, ha registrato una crescita media del 6%, arrivando a vendere 7 milioni di bottiglie per un valore totale di 70 milioni di euro, con il 20% esportato equamente distribuito tra l’Europa e il resto del mondo. E, nel 2014, le 41 aziende spumantistiche – la scorsa settimana se ne sono aggiunte altre due – sono arrivate a produrre 8,5 milioni di bottiglie.
Cosa vogliono dire questi numeri?
Risponde il presidente dell’Istituto Trentodoc, Enrico Zanoni: “Numeri che confermano la coerenza del nostro percorso, l’attenzione alla qualità, il valore di un territorio unico e straordinariamente vocato. Gli ampi spazi di crescita sia della notorietà che della distribuzione dei prodotti, sono sicuri indicatori di ulteriori scenari di sviluppo”. E facendo sempre riferimento all’uomo che ha creato la spumantistica trentina, Giulio Ferrari, che nei primi anni del ‘900, dopo numerosi viaggi-studio in Francia, decise di produrselo da solo lo “sciampagne” e a casa sua, a Trento, anzi nel centro della città, dove allestì una piccola cantina per avviare la produzione dello spumante con il sistema del metodo classico. Una piccola produzione, ma di qualità quella di Ferrari che nel 1952 vendette la cantina all’enotecaro Bruno Lunelli. Da “ferrarista” convinto, Lunelli continuò a percorrere la strada della qualità, inculcando il culto delle cose fatte bene ai figli e, visto i risultati che raccontiamo oggi, a tutti i viticoltori trentini che con il loro impegno hanno permesso allo spumante trentino metodo classico di essere il primo, nel 1993, a conquistare la denominazione di origine controllata. Nonché, dal 21 ottobre scorso, ad ottenere l’autorizzazione, da parte del Ministero delle politiche agricole, di poter utilizzare anche la menzione “rosato riserva”.
C’è di più. Trentodoc oggi ha una vera e propria “carta di identità” che certifica la sua origine e il suo legame con il territorio. Tanto da avere la sensazione che il vitigno Chardonnay sia “nato” da queste parti, così è fondamentale per l’economica vitivinicola trentina, tanto da essere il più coltivato da queste parti. Invece anche per lo Chardonnay c’è un primato di Ferrari: fu lui il primo a portarlo dalla Francia. Quante ne ha combinato quest’uomo, giustamente venerato non solo dai vitivinicoltori ma anche dai trentini a mano a mano che le loro bollicine conquistano i buongustai di tutto il mondo.
Ed è proprio per tutelare questa ricchezza che nel 1984 è stato fondato l’Istituto Trentodoc che oggi rappresenta 43 case spumatistiche. E, nel giugno del 2007 la decisione di creare il marchio collettivo Trentodoc per rafforzare la politica di valorizzazione di un prodotto dalle caratteristiche uniche e fortemente legato al proprio territorio d’origine dove allo Chardonnay, ormai il vitigno più coltivato da queste parti, negli anni si sono affiancate uve come Pinot nero, Pinot bianco e Pinot Meunier. Con vigne allevate prevalentemente a pergola trentina e ubicate ad una altezza compresa tra i 200 e gli 800 metri. Ecco perché quando si parla di Trentodoc, è giusto sottolineare che si tratta di bollicine di montagna. Su questo titolari, tecnici e lavoratori delle 43 case spumantistiche che aderiscono all’Istituto di tutela non transigono. Fanno di più. Non rispettano il disciplinare di produzione perché ritengono che i 15 mesi minimo di maturazione in bottiglia di quello che sarà Trentodoc, sono pochi per una grande prodotto e così, autonomamente portano la maturazione a 24 mesi. E i consumatori ringraziano.