di Giorgio Vaiana
Ci sarà nel futuro una ristorazione stellata? E come cambieranno le proposte, non solo nel menù, ma anche nell’accoglienza?
Di questo e altro abbiamo parlato con alcuni chef che di stelle se ne intendono. Il fronte (e le idee) sembrano comuni: la ristorazione italiana continuerà ad esistere. E nessuno ha voglia di rimodulare l’offerta con prezzi al ribasso. Perché, come ben sanno, se i prezzi scendono verso il basso, difficilmente poi potrebbero salire di nuovo. Mauro Uliassi è chef e titolare del ristorante Uliassi, tre stelle Michelin che si affaccia sul mare di Senigallia in provincia di Ancona. Una quarantena trascorsa leggendo molto e pensando. Difficile secondo lui fare previsioni sul futuro. “Capiremo come sarà cambiata la ristorazione stellata il giorno stesso che riapriremo i nostri ristoranti”, dice lo chef. Ma la questione per Uliassi è molto semplice: “Va bene essere ottimisti e io lo sono per natura, ma bisogna essere anche realisti – dice – Se i movimenti verso le altre regioni continueranno a rimanere bloccati, il nostro sarà un mercato solo regionale. E ristoranti come il nostro, che hanno una clientela prettamente straniera e in cui si sono persone che si fanno centinaia di chilometri pe venirci a trovare, saranno certamente penalizzati. Intanto attendiamo le linee guida, cerchiamo di capire come sarà il nostro lavoro, gli spazi, l’utilizzo di guanti e mascherine. Credo che sarà necessario fare i tamponi o i test sierologici a tutti i dipendenti e poi speriamo che il caldo faccia scendere di molto la potenza di questo maledetto virus”. Uliassi non sembra preoccupato: “La nostra cucina, che si definisce “fine dining”, è già allineata su procedure di igiene altissime e qui, nel mio ristorante, le portiamo avanti da tempo. I prezzi? Non ha senso fare una politica dei prezzi al ribasso. Chi avrà soldi da spendere verrà, come ha sempre fatto. Credo che l’estate alla fine sarà l’estate e quindi una stagione tutto sommato normale. Certo non si tornerà ai fasti del passato, ma mi aspetto una stagione abbastanza positiva”.
Attende novità Enrico Bartolini, lo chef italiano più stellato del mondo (ne ha ben 8). Si è dedicato all famiglia, ai figli, ha sperimentato molto in cucina e ha mantenuto le relazioni con tante videochiamate. Lui ha le idee chiare per la riapertura: tantissima qualità. “Questo è sicuramente un momento drammatico – dice lo chef – Stiamo aspettando di poter riaprire. Appena avremo la certezza, faremo una riunione generale per prendere tutte le decisioni”. Su come sarà la proposta di Bartolini, qualche dubbio ancora: “Le strategie delle formule menu sono molto ovvie e ragionate – spiega lo chef – Contenere il numero di proposte al fine che tutto il team le esegua attentamente per poi aumentarle. Ma ancora nulla di scritto e definitivo”. Per Bartolini però ci sarà ancora una cucina stellata in Italia: “Gli italiani amano la qualità. Se stellato è segnale di maggiore approfondimento degli argomenti si offenderebbero gli italiani ripudiando questa categoria. Il punto debole è liquidità e il sostegno delle attività, tutte. Chi finora ha fatto un mestiere puó adeguarlo ai tempi, ma stravolgerlo sarebbe un salto nel vuoto. Intendo dire che io e il mio team daremo agli ospiti lo stesso contenuto e impegno che abbiamo sempre dato, il massimo”.
Hanno vissuto l’emergenza sanitaria in pieno, invece, i fratelli Chicco e Bobo Cerea, titolari del ristorante tre stelle Michelin Da Vittorio, a Brusaporto in provincia di Bergamo. Loro non hanno licenziato nessun componente del personale e hanno una loro idea sul post-coronavirus: “Ci si può immaginare che alla riapertura dei locali pubblici la clientela avrà comunque voglia di riappropriarsi del piacere di socializzare, mangiare e stare bene – dicono i fratelli Cerea – Senza però dimenticare che, almeno inizialmente, ci sarà comunque ancora il timore del contatto e rimarrà un po’ l’idea del distacco sociale”. Per forza di cose anche loro affronteranno una “fase due”: “Ci stiamo organizzando per la riapertura e stiamo “reinventando” settori che rimarranno più fermi di altri anche dopo la riapertura dei locali: in particolar modo la ristorazione esterna (banqueting e catering) – dicono – Per esempio, trasformeremo la zona della piscina della Cantalupa, normalmente utilizzata per matrimoni ed eventi, in un “pop up” Da Vittorio, con un’offerta dedicata a barbeque e pizze gourmet. Ci sarà la pizza napoletana, quella in teglia romana ed anche quella a vapore con farciture di eccellenza. Il tutto accompagnato da carni alla griglia e bollicine italiane e straniere oltre ad una selezione di vini rossi ed una birra artigianale locale, la più fresca possibile. I dolci saranno di taglio classico”.
Loro, come altri colleghi stellati italiani (Tony Lo Coco del ristorante una stella Michelin I Pupi a Bagheria in provincia di Palermo, solo per fare un esempio), hanno iniziato il servizio di delivery: “Abbiamo ideato tre diverse tipologie di menù da 4 portate ciascuna (di carne, pesce e vegetariano), arricchite da snack di benvenuto, cestino del pane e amenities – raccontano gli chef – Abbiamo anche integrato l’offerta con un menù speciale della settimana e con la wine list per il migliore abbinamento di vino. Questa esperienza, oltre a farci sentire vicini alla nostra clientela, ha portato buoni risultati ed ora che si è aperta la fase 2 ci sarà anche la possibilità di sfruttare il take away. Con l’asporto non pensiamo certo di raggiungere fatturati strabilianti, ma ci permetterà di continuare a tenere movimentato il locale, dare l’alternanza al lavoro ai nostri ragazzi e mantenere il contatto con il pubblico, nello stile Da Vittorio”.
Irriverente (nel senso buono del termine) come non mai è invece Floriano Pellegrino, giovanissimo chef del ristorante una stella Michelin Bros’ a Lecce che porta avanti insieme alla pastry chef Isabella Potì, compagna anche nella vita. “Stiamo affrontando la questione alla millennial maniera – dice Floriano appena 30 anni – insomma con la sfrontatezza che ci ha sempre contraddistinto. Questo perché abbiamo la consapevolezza che c’è tutto il tempo di recuperare questa fase critica e drammatica. Noi siamo una generazione che non ha mai ricevuto nessun aiuto, non siamo quelli dell’assistenzialismo, che non avrà la pensione. Siamo da soli. E quindi o ci sbracciamo le maniche e lavoriamo, oppure moriamo. Siamo partiti da zero, ci siamo fatti da soli. E quindi anche questa pandemia l’abbiamo affrontata step by step, giorno dopo giorno”.
Lui, che di spirito di squadra ne capisce (è ala in una squadra di rugby), ha compreso che o si fa rete tutti insieme, o si affossa tutti insieme: “Abbiamo abbassato tutti i costi, abbiamo sospeso gli affitti in accordo con i proprietari e adesso speriamo che lo Stato li aiuti non facendogli pagare l’Imu – dice lo chef – Molti dei nostri dipendenti sono in cassa integrazione, abbiamo ospitato gli stagisti nella nostra foresteria e non gli manca mai da mangiare. La fase due per la ristorazione stellata è un’incognita. Noi, dall’1 giugno, ripartiremo con la nostra trattoria (Roots, che si trova a Scorrano in provincia di Lecce). I costi sono nettamente inferiori al ristorante Bros’. E ripartire con gli standard altissimi è la nostra grande sfida. Comunque ho tanta fiducia. Noi siamo la serie A della ristorazione italiana, non molliamo niente, non scendiamo a compromessi. Per questo non abbiamo fatto il delivery, per non tradire il nostro credo. Io ho sempre visione a breve, medio e lungo termine. A breve termine mi immagino una clientela italiana, ma quando le cose andranno bene, perché andranno bene, la ristorazione stellata avrà una marea di gente ancora più internazionale. Questa pandemia ci porterà un doppio beneficio. Noi italiani scopriremo quanto è figa la nostra Italia e gli stranieri capiranno che è molto più bello visitare il “micro” piuttosto che il “macro”, ossia visitare i piccoli territori, penso al Salento, piuttosto che fare i turisti nelle mega città. Ecco, il futuro me lo immagino “micro”, e noi giovani stiamo tracciando la strada: siamo le nuove micro-imprese italiane e i nuovo custodi dell’identità dei territori. Il vero lusso, oggi, è vivere in campagna in cui si ha una qualità della vita altissima”.
Alle pendici dell’Etna si trova lo Shalai. Ci troviamo a Linguaglossa, in provincia di Catania. Il Vulcano si erge in tutta la sua maestosità. Questi sono territori super affascinanti, dal nero della lava al bianco della neve, fino al rosso del Nerello Mascalese, il vino-simbolo di queste zone. Luciano Pennisi, insieme al cugino Leonardo, ha aperto questo posto che è allo stesso tempo un boutique-hotel e un ristorante stellato. In cucina c’è Giovanni Santoro. Shalai in siciliano vuol dire stare proprio bene in un posto. Luciano ne è convinto: la cucina stellata resisterà. “Questo periodo c’è servito per fare ancora più introspezione delle materie prime – dice – ma anche del piatto stesso. Non si possono abbassare i prezzi, perché i costi di gestione della ristorazione stellata sono altissimi. E quindi fare una proposta al ribasso significa rinunciare ad un po’ di qualità. E non te lo puoi permettere”. Allo Shalai nessuno è stato licenziato: “Per ora sono in cassa integrazione e farò di tutto per farli lavorare di nuovo con me – dice Luciano – Per me è una mission garantire il posto di lavoro a questi ragazzi che ci hanno sostenuto sin dal primo giorno. Oggi so cos’è lo Shalai. Ma in questo periodo di quarantena mi sono fatto un sacco di domande e mi sono immaginato la mia struttura nel futuro. Shalai ha ormai un’identità molto forte e riconisciuta. Abbiamo, però, in mente delle idee per far vivere al nostro cliente delle esperienze in modo diverso, più verace, più di stomaco, di essenza e sostanza. Chi sarà il mio primo cliente dopo la fine della pandemia? Mi immagino un operatore del settore turistico o vitivinicolo. Ci vorrà del tempo per far comprendere ai clienti che si potrà mangiare di nuovo in tutta sicurezza. E molto dipende da noi”. Ma la questione distanze di sicurezza rimane: “Noi abbiamo 36 coperti – dice Luciano – e con le nuove disposizioni scenderemo a 12, 14 coperti. Sarà impossibile andare avanti. Ecco perché sceglieremo con attenzione il momento opportuno per riaprire. Chiudere per sempre? Non accadrà mai e poi mai”.
Pino Cuttaia si trova all’estremo sud della Sicilia, a Licata in provincia di Agrigento. Qui ha aperto La Madia. Una scommessa che, in poco tempo, invece, è diventato un punto di riferimento per la ristorazione isolana prima, nazionale e internazionale poi. Tanto che gli è valsa due stelle Michelin. Pino è uno di quei cuochi custodi della tradizione. Nel vero senso della parola. Non solo nei piatti proposti che rimandono a quelli delle nostre mamme o nonne, ma anche nella scelta delle materie prime, acquistando sempre prodotti del territorio, di nicchia e fatti da piccoli artigiani. L’essenza del gusto. Lui è un inguaribile ottimista. Quando ha chiuso il locale ha scelto di dedicare il suo tempo a chi aveva bisogno. E allora si è chiuso in cucina ed ha iniziato a impastare, a fare pane e lievitati che poi distribuiva agli amici e a chi non poteva permetterselo. “Il fascino della farina è incredibile – racconta lo chef – Da uno stesso prodotto puoi ottenere con varie proporzioni, diversi preparazioni. Io questa quarantena l’ho vista un po’ come un periodo sabbatico. Ho cucinato e ho capito ancora di più che voglio fare il cuoco nella mia vita”. La ripresa è ancora incerta, anche per la ristorazione stellata, ma Cuttaia è ottimista: “Certo dipende dal vaccino o dalle cure, ma la storia insegna che dopo le grandi epidemie c’è sempre un periodo positivo e di crescita. Noi cuochi abbiamo il compito di nutrire la gente ed è chiaro che si andrà a cena fuori. Noi siamo gli interpreti della felicità altrui e gli ambasciatori di un territorio”.
E l’idea di Cuttaia per il futuro del ristorante è chiara: “Sto pensando a due menù – dice lo chef – uno legato alla regionalità, alla sostenibilità della nostra regione e uno un po’ più globalizzato. Visto che la gente non potrà, almeno all’inizio girare il mondo, glielo faremo girare noi attraverso i piatti, un viaggio attraverso il cibo. Si tratta di un modo di prendersi ancora più cura di chi verrà a trovarci. Il cuoco è un po’ la mamma contemporanea, il custode dei saperi, vuol dire donare e mettere a disposizione una professionalità che non si può nascondere. Io aprirò il mio bistrot (uovodiseppia, sempre a Licata) e poi a seguire anche il mio ristorante. Una cosa è certa: metterò a disposizione il mio sapere per l’ospite”. Cuttaia affronta anche la questione riduzione dei prezzi: “Dietro c’è un sistema costoso, fatto di prodotti, attenzioni, carte dei vini, investimenti – dice Cuttaia – Insomma tutto questo benessere e lusso che riceve il cliente, ha un costo. Mi auguro che la Regione siciliana pensi ad un voucher per incentivare queste esperienze. Visto che sarà un’estate prettamente siciliana, i vertici regionali potrebbero ideare un voucher da spendere nei locali siciliani, per conoscere le nostre eccellenze. Si creerebbe un meccanismo virtuoso e si metterebbe in moto una certa economia che in questo momento è ferma. Io ho fatturato zero in questo momento e i miei fornitori sono fermi alla stessa maniera. I voucher servirebbero a rimettere in moto tutto. Non dico coprire tutta la spesa, ma anche una parte. Sono disposto a rinunciare a parte del mio guadagno per contribuire ad una ripartenza. Non abbiamo licenziato nessuno. E con le nuove disposizioni dovrò rinunciare ad un solo tavolo sui 9 che ho in sala. A me cambia poco da questo punto di vista. Mi preoccupa invece l’incertezza del veder entrare clienti. Ecco perché ci vuole una grande attività di promozione da parte della Regione siciliana, per tornare alla normalità nel più breve tempo possibile”.