In poco più di un mese dall’emergenza sanitaria il fatturato delle imprese di spiriti crolla del 60%, un danno a cui si sommano gli oltre 220 milioni per l’export a rischio.
E’ il quadro di uno tra i settori più competitivi del made in Italy, grazie a specialità come liquori, aperitivi, limoncello, amaretto e sambuca, che è stato tra i primi a scontare gli effetti delle chiusure anticipate per impedire il sovraffollamento nei pubblici esercizi e sarà anche l’ultimo a tornare a regime. Una realtà che conta 320 aziende, di cui il 75% a capitale familiare italiano, già fortemente indebolita dai recenti aumenti nazionali di imposta e dai dazi del 25% Usa da ottobre scorso. E ora con gli effetti del coronavirus rischia di avere pesantissime ripercussioni, considerati i 100 mila dipendenti diretti e quelli dell’indotto 3 volte tanto, per un valore aggiunto complessivo che ogni anno raggiunge 4,5 miliardi di euro. “Il danno immediato del 60% – dichiara il presidente Gruppo Spirits di Federvini, Micaela Pallini – si trasformerà in un calo del 50% da qui a un anno, andando progressivamente a ridursi con la riapertura degli esercizi pubblici per arrivare ad una contrazione strutturale del 20% a due anni dall’inizio della pandemia. La degustazione fuori casa – precisa – è da sempre il nostro punto di forza e se non si agirà questo -20% secco rischia di avere conseguenze sugli investimenti e sulla creazione di ricchezza per il Paese nel medio e lungo periodo”. Da qui le tre azioni richieste dal comparto per arginare la situazione: cancellazione dell’obbligo del contrassegno fiscale, sospensione del versamento dell’accisa almeno fino al termine della fase emergenziale e defiscalizzazione del fatturato conseguito con l’attività di export.
C.d.G.