Ristorante Evo a Barcellona
Non si parla di altro.
Il tema crisi sembra non schiodarsi dal vertice della nostra agenda setting quotidiana. E nemmeno da quella di molti chef e grandi nomi della ristorazione spagnola. Il periodo nero che sta attraversando il Paese lo conosciamo bene, lo stiamo monitorando tutti. E lo fanno anche loro, le firme dell’alta cucina. Il crollo dell’economia stanno cercando di fronteggiarlo in ogni modo, cambiando anche l’offerta. Muta così quel quadro patinato, campo di raffinatissima e ardita sperimentazione, con cui la cucina spagnola ha primeggiato su media e guide e conquistato il pubblico in questi ultimi anni. I dati dell’ultima ricerca Nielsen, riferiti al 2011 e ai primi mesi del 2012, ci restituiscono trend di consumo dalle tinte fosche. Evoluzione con il segno meno che riguarda soprattutto il settore Horeca.
Il consumo di alcol segna il -5,4%. E da tre anni consecutivi, dal 2008, il numero dei locali, contando ristoranti, bar, wine bar, cala costantemente. Se nel 2008 il numero era di 232mila in tutta la Spagna oggi è di 220mila. Una perdita di 12mila locali non è un bilancio da poco, tanto che in alcuni blog si dirama un vero e proprio necrologio di quelli storici e più frequentati dai gourmand. Si va sempre meno fuori, si consuma di più a casa. Si rinuncia anche alle bevute e alle mangiate notturne. Al riguardo, il calo dei locali, in termini di volume, è del -2,3%.
Il fenomeno non ha solo una portata di massa, tocca anche il gotha del settore. Le stelle cadono, e purtroppo non ci riferiamo a quell’immagine romantica di mezza estate che tiene ciascuno di noi con il naso all’insù. Molti ristoranti stellati stanno chiudendo, o hanno già chiuso, il loro capitolo d’oro. Chef e patron facoltosi stanno gettando la spugna. Come racconta un articolo pubblicato ieri sul The New York Times a firma di Doreen Carvajal e Raphael Minder. Chiamato ad essere portavoce e testimone della situazione è Eugenio Garcia, proprietario di Taberna Coloniales a Siviglia.
Taberna Coloniales, al numero 36 di via Fernandez y Gonzales
Il quartiere storico dove ha sede uno dei suoi ristoranti, ricco di locali e celebre per essere meta della movida gastronomica, avrebbe visto chiudere in questi ultimi tempi 25 locali. E lui stesso ha dovuto venderne uno. Potremmo parlare di ecatombe, un termine forse un po’ troppo forte ma a leggere le parole di Garcia sembrerebbe quello adatto. Così dichiara ai giornalisti. “Prima la gente ordinava una bottiglia di vino, adesso non lo fa più. I clienti bevono meno. L’atmosfera è davvero pesante. Abbiamo alle spalle già quattro anni di crisi. Ma adesso è come trovarsi in una nave nel bel mezzo di una tempesta. Possiamo solo aggrapparci all’albero e vedere cosa succede”.
Ristorante Sula
I menu diventano sempre più low cost, i ristoratori invitano addirittura i clienti, per agevolarli, a portare il vino da casa, lo stile dei piatti vira verso le specialità della casa, porzioni e portate si riducono. E molti locali inn si starebbero rifacendo il look, proponendo atmosfere più casual. Persino il Sula, uno dei locali gastrochic più in voga di Madrid, nel quartiere di Salamanca, sta cambiando muta, traformando il piano di sotto in location per bar e tapas. E se prima lì venivano serviti calici di Dom Pérignon e prosciutto Joselito Gran Reserva, uno dei migliori prodotti nel Paese, adesso si versa il Cava e si propongono al piatto specialità più a buon mercato.
Ferran Adrià
Per il padre della cucina molecolare, Ferran Adrià, la ristorazione di alto livello tiene il contraccolpo della crisi. Come riporta l’articolo del quotidiano statunitense: “Penso che i migliori ristoranti non chiuderanno, lo faranno solo quelli gestiti da proprietari che non si intendono veramente di gastronomia, e che vogliono approfittare del momento. Crisi o no, non si è mai mangiato così bene in Spagna come adesso, anche se siamo lontani dal raccogliere i frutti di 20 anni di duro lavoro”.
Intanto qualche giorno fa l’Evo, stellato Michelin, che si trova all’interno dell’ Hotel Esperia Tower a Barcellona, ha annunciato la chiusura dichiarando che non può più fronteggiare i costi che richiede quel tipo di cucina.
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C.d.G.