Sempre più donne consumano vino, e cresce in Italia la schiera delle produttrici e delle donne ai vertici di aziende vitivinicole. Resta però una barriera, quella linguistica e questo si verifica sia nella comprensione dei riti della degustazione dei nettari di Bacco, sia nel riconoscimento del ruolo professionale.
Cecilia Robustelli, linguista dell'Università di Modena e Reggio Emilia nonché consulente del Miur e dell'Accademia della Crusca, in un recente incontro dell'Associazione delle Donne, ha sottolineato come “la lingua crei l'esistenza. Se non mi nomini non esisto”; per questo è importante la coniugazione di genere delle professioni di “sommeliera, viticoltrice …” anche quando suona strano. “Coniugare i nomi – ha precisato Robustelli – significa accettare il genere femminile in certe professioni. E dovremo abituarci in fretta”.
Anche sul fronte delle consumatrici, le donne chiedono un nuovo linguaggio più informale e questo, come ha osservato la presidente delle Donne del Vino Donatella Cinelli Colombini, “ha rilevanza nel marketing del vino”. Le donne, ha detto Robustelli, “amano ciò che conoscono, le relazioni familiari. Va perciò costruita una “amicizia” tra donne e vino. Dunque senza anglicismi né parole difficili. Serve immediatezza. Per le consumatrici le parole sono pietre; la regola è: se mi deludi non ti compro più”.
E per conquistare nuove enoappassionate, secondo la psicologa Paola Pizza, “occorre valorizzare i significati simbolici associati al vino, come seduzione, gioco e felicità. Gli stessi valori sottesi alla moda. Oggi prevale il narcisismo, l'individualismo e quindi il tema identitario anche negli acquisti: consumo questo prodotto e quindi sono. Il lusso fa sentire vincitori nei confronti degli altri ma lo shopping insegue meno gli status symbol e più il lusso emozionale. Che – conclude la psicologa Pizza – è un lusso accessibile. Un lusso democratico che però fa sentire la donna una persona speciale”.
C.d.G.