Il curatore della Guida alle Birre di Slow Food annuncia l’uscita un po’ ritardata della nuova edizione. E commenta il successo degli ultimi anni del movimento birrario italiano e gli scenari dei prossimi mesi. “Finirà l’ossessione per le novità”
I birrifici artigianali sono in subbuglio. Fermi. Perché fermi e chiusi sono tutti i pub, le pizzerie, i locali dove abitualmente si beve birra in Italia. Quando ne usciremo? E come? Eugenio Signoroni, curatore della Guida alle Birre d’Italia è al lavoro per chiudere la settima edizione. Quella per il 2021. Doveva uscire a fine aprile, ma la tempesta di queste settimane farà slittare l’uscita. Se ne parlerà a primavera inoltrata. Signoroni annuncia che la prossima edizione sara piena di novità, grafica compresa per allinearla alle altre guide edite col simbolo della chiocciola. E poi non è escluso qualcosa che cambi nelle modalità per tracciare l’eccellenza delle birre e dei birrifici tra “grandi birre”, “birra Slow” e così via. Ma l’attualità affiora. Ed ecco allora parlare di questo momento difficile per il movimento birrario italiano. Attacca Signoroni: “Mi sento di dire che c’è un pre-virus e un post-virus”.
Parliamo del prima…
“Un movimento in uno scoppiettante stato di salute, grande qualità diffusa, sempre più birrifici attivi. Di qualità, quindi, non solo buoni. Uno stato di grazia perché in questi anni è affiorata un’identità della birra italiana. Un marchio, uno stile, un modo di farle. Una eleganza e un equilibrio nel gusto che secondo me è molto caratterizzante. A questo si aggiunga una coesione al marchio Unione birrai indipendenti e artigianali oggi presieduta da Vittorio Ferraris del Birrificio Sant’Andrea. Tutto questo grazie anche alla ricerca di materia prima italiana per la produzione di birra. A cui ha dato un contributo la Coldiretti”.
Risultati più che soddisfacenti…
“Certo. Ma c’è molto da fare anche se la strada è tracciata e a Slow Food è un percorso che interessa. Personalmente questo percorso è molto importante per l’attenzione che viene offerta agli agricoltori. Genera economie, nuove e possibili filiere più importanti della stessa degustazione”.
Siamo sempre nello scenario pre-emergenza…
“Esatto. Completo il pensiero sui birrifici artigianali. Il loro successo in Italia lo si deve anche all’idea di una birra fatta con consapevolezza. Che va anche oltre lo slogan del chilometro zero a noi molto caro. Più consapevolezza per la filiera. E più attenzione su come vengono prodotte le birre”.
E il dopo emergenza come te le immagini?
“È un mistero. Abbiamo fatto una rapida ricognizione tra 200 birrifici. La maggior parte di loro ci ha detto che il loro mercato è azzerato”.
E quindi quali scenari provi a immaginare?
“Parto da quello più cupo. L’emergenza per questa parte di produzioni e per i locali, le birrerie, i pub, dura fino all’inizio dell’estate. Probabilmente quelli che hanno le spalle meno grandi avranno qualche difficoltà a stare in piedi. Sento molti dire che si tenderà a semplificare il mercato. Forse una serie di eccessi rientreranno. Un effetto non negativo è che tutta una serie di ossessioni per la novità si attenuerà. E forse ci si concentrerà ad avere produzioni stabili e più rivolte alla qualità. E con rapporti più solidi e anche su birre più semplici e non alla ricerca ossessiva dell’effetto speciale”.
Lo scenario ottimista invece?
“Siccome tanti birrifici hanno costruito una discreta rete di appassionati e di bevitori sui loro territori e questi hanno in questo momento desiderio di sostenerli, i birrifici probabilmente riusciranno a galleggiare con piccole vendite e con modalità nuove porta a porta, delivery e così via. Cambierà il nostro modo di bere anche ad emergenza finita. Galleggeranno e piano piano si riprenderanno. Avremo una piccola selezione naturale e un cambiamento nel modo di consumo”.
L’Italia è un Paese che si è dato una legge per definire la birra artigianale. Un bel traguardo o no?
“Assolutamente sì. E per due motivi. Primo perché fa chiarezza. Dice in modo migliorabile che cosa si intende con birra artigianale in Italia. Si eliminano truffe o imprecisioni. Il messaggio ha dato molto unità ai birrifici. L’altro motivo è che segna il primato italiano nel mondo. Siamo il primo Paese nel pianeta a codificare la birra artigianale”.
In pochi anni le multinazionali hanno rilevato alcuni birrifici artigianali dal grande appeal. È finita la tendenza?
“Credo che abbiano smesso di fare shopping. Il perché non lo so. Posso azzardare una motivazione: perché hanno capito che non era redditizio. E poi credo che hanno smesso perché le operazioni fatte non sono andate così benissimo. I consumi mondiali si stanno spostando verso i soft drink, i selz alcolici, i fermentati e i cocktail in lattina che stanno acquisendo una importanza significativa. C’è altro oltre la birra artigianale per fare profitti”.
Quanta birra si beve in Italia?
“Il consumo pro capite è di 33 litri. Siamo terzultimi in Europa. E le birre artigianali rappresentano appena il 3 per cento di questi consumi”.
Praticamente pochissimo. C’è una rivalità col vino in Italia?
“Il mondo del vino non è mai stato molto preoccupato della birra. I consumi si equivalgono. Ma la birra è veramente un prodotto ancora oggi considerato come una bevanda da bere fredda in estate. Il competitor della birra è l’acqua. Semmai posso immaginare un po’ di fastidio quando ci sono birre con prezzi che il produttore di vino fa fatica a spiegarsi”.
Qual è la birra artigianale che più identifica lo stile italiano?
“L’Italian grape ale. Qui il tema del vino è importante. Il vero stile è quell’idea di birra fatta di gentilezza ed equilibrio. Un gusto italiano. Creatività sempre, senza aver paura”.
Per la guida quante birre degusti?
“Circa quattrocento”.
F.C.