Per il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo si tratta di “un grande regalo alle grandi lobby industriali che nell'alimentare puntano all'omologazione e al livellamento verso il basso della qualità”
Con 408 voti a favore e 254 contrari, il Parlamento Europeo apre le porte al Ceta, (Comprehensive Economic and Trade Agreementr), l'accordo economico commerciale globale. Il nuovo accordo fissa standard elevati per il commercio mondiale.
Il Ceta, in pratica, è un accordo tra l'Unione Europea e il Canada per rilanciare il commercio e rafforzare le relazioni economiche. Questi obiettivi saranno perseguiti abolendo il 99% dei dazi doganali e molti altri ostacoli per le imprese. Ma Slow Food non ci sta: “Ancora una volta siamo di fronte a un trattato che intende affermare gli interessi della grande industria, a scapito sia dei cittadini che dei produttori di piccola scala. Ciò di cui abbiamo bisogno è invece l’adozione di un nuovo sistema che ci indirizzi verso una politica commerciale inclusiva, che abbia come punti cardine i bisogni delle persone e del nostro pianeta. Ratificare il Ceta ci allontanerebbe sicuramente da questo obiettivo”, ha detto Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia. “Già 3,5 milioni hanno manifestato il loro dissenso firmando la petizione diffusa nei mesi scorsi, è ora di dare loro ascolto”.
Con l’approvazione del trattato da parte del Parlamento Europeo una buona parte del Ceta entra immediatamente in vigore, in attesa della votazione di ciascuno dei parlamenti nazionali. “La decisione ora è in mano ai singoli Stati Membri ed è sufficiente che un solo Paese non lo ratifichi per fare in modo che il Ceta non passi. Chiediamo quindi al Governo italiano che rispetti l’opinione dei cittadini e si schieri finalmente a favore dei produttori locali e dell’ambiente – dice Pascale L’accordo include moltissimi temi, dai lavori pubblici alla carne agli ormoni, dal glifosato agli Ogm, tema tra l’altro, su cui si deciderà in gran segreto”.
Secondo Slow Food, in Europa su 1.300 prodotti alimentari a indicazione geografica, 2.800 vini e 330 distillati, il Ceta ne tutelerebbe solamente 173. “Questo significa che alcune denominazioni di origine di prodotti legati al territorio e con una tecnica produttiva tradizionale potrebbero essere tranquillamente imitati oltreoceano, senza essere passibili di alcuna sanzione – commenta Carlo Petrini, presidente di Slow Food – E attenzione a non pensare che questo sia un discorso protezionista nei confronti dei contadini europei, perché per altre filiere vale al contrario”. Prendiamo la produzione di latte, che in Europa soffre a causa della sovrapproduzione e prezzi troppo bassi, mentre in Canada si sono mantenuti livelli di remunerazione soddisfacenti. “Il Ceta aprirebbe il mercato canadese ai prodotti lattiero-caseari europei provocando una caduta dei prezzi oltreoceano e di conseguenza un peggioramento delle condizioni di vita degli allevatori. Il discorso è lo stesso dunque: invece di migliorare le condizioni di chi sta peggio, si innesca una guerra al ribasso che porta al baratro chi produce bene – conclude Petrini – Queste misure fanno esclusivamente il gioco della grande industria e della speculazione finanziaria”.
Un grande regalo alle grandi lobby industriali che nell'alimentare puntano all'omologazione e al livellamento verso il basso della qualità. E' quanto afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel commentare l'impatto dell'approvazione da parte dell'Europarlamento del Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreementr) con il Canada. Nei trattati – sottolinea Moncalvo – va riservata all'agroalimentare una specificità che tuteli la distintività della produzione e possa garantire la tutela della salute, la protezione dell'ambiente e della libertà di scelta dei consumatori. Solo per fare un esempio – continua Moncalvo – i produttori canadesi potranno utilizzare il termine Parmesan, ma anche produrre e vendere Gorgonzola, Asiago e Fontina, mantenendo una situazione di ambiguità che rende difficile ai consumatori distinguere il prodotto originale ottenuto nel rispetto di un preciso disciplinare di produzione dall'imitazione di bassa qualità. Ma soprattutto si crea una concorrenza sleale nei confronti del vero Made in Italy in cui perde l'agricoltura italiana che – conclude Moncalvo – ha fondato sulla distintività e sulla qualità la propria capacita' di competere.
C.d.G.