La morale della favola ve la diciamo subito: se le cose sono buone lo capisce anche chi ha poca o nessuna esperienza di degustazioni. Sul tavolo, davanti a ogni giurato, ci sono otto bicchierini di plastica con un dito di olio. Va dal giallo oro al verde oliva. Anche l’occhio vuole la sua parte, commentiamo incautamente. Errore. Nelle degustazioni professionali – ci informano – solitamente si utilizzano vasetti scuri per non essere influenzati dal colore. Autostima sotto i tacchi. Strategia: non parlare più, passare inosservato, se possibile scappare. Ma c’è Fabrizio Carrera che sorveglia, tiene tutti incatenati e si diverte ad avere amalgamato un’insalata di esperti e inesperti dell’universo extravergine col fine di verificare quanto i palati siano distanti a riconoscere il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il gustoso dall’insipido. Tutto in collaborazione con l’Irvo, l’istituto regionale vini e oli di Sicilia. E ci saranno sorprese!
Noi, ovviamente, siamo nella categoria dilettanti allo sbaraglio in questa prova organizzata da Cronache di gusto. Hanno messo insieme un gruppo di consumati nasi e palati e a loro mescolato qualche rudimentale amante dell’olio, come il sottoscritto, poco avvezzo a distinguere fragranze, aromi e retrogusti. Niente paura. Qui le uniche cose che bisogna avvertire sono l’amaro (in bocca) e il piccante (in gola). Facile a dirsi… Se non li senti, o hai un problema oppure stai assaggiando una ciofeca. Ho un problema, penso, perché sulle prime non “sento” nulla. Pian piano, però, qualcosa fa capolino, sale e si diffonde sulla lingua. Sarà la giornata di sole squillante, la bella compagnia o la vista assassina di Palermo che si gode da Villa Costanza, alle pendici di Monte Pellegrino, ma il gioco si fa divertente. Ogni assaggio deve essere interrotto da un sorso d’acqua o da una fettina di mela verde per riordinare le papille.
Sorregge molto la competenza di Giuseppe Cicero, capo panel di assaggiatori di olio ed ex dirigente regionale che spiega perché la prova va eseguita senza pane: l’amido crea una patina che non consente bene di percepire bene amaro e piccante: i due unici bastioni di riferimento per gli specialisti con cui si misurano la carica di polifenoli e di tutta una serie di altri elementi che alla fine della fiera fanno di quella bottiglia un prodotto più o meno di qualità. Si può dire che l’oro verde, nell’essenzialità dell’assaggio, solletica una sorta di primitiva e istintiva percezione del gusto senza infognare il povero malcapitato in tanti, troppi, rimandi e suggestioni a cui ti obbliga invece il vino. A leggere certe recensioni a volte ti senti del tutto inadeguato se in quel rosso non avverti sentore di tabacco misto a ciliegia. Mah!
Cicero ci spiega cosa bisogna fare per assaggiare alla cieca le otto marche selezionate. Si parte dallo strippaggio con un po’ d’olio in bocca: un susseguirsi veloce di aspirazioni a denti stretti: chi non è avvezzo fa rumoracci sotto l’occhio biasimevole di alcuni signori dalla consumata consuetudine con bricchi, voti e degustazioni. Il passaggio d’aria serve ad asciugare il palato e diffondere le gocce ossigenate uniformemente, sprigionando gli aromi. È in questa fase che dovresti sentire l’amaro. Poi, l’altra percezione, che si chiama retrolfattiva, è del tutto involontaria e la avverti in gola. Per ogni campione sorseggiato bisogna dare un voto da uno a dieci, indicare le fragranze e anche – se possibile – suggerire possibili abbinamenti con pietanze. “L’equilibrio di amaro e piccante – dice Cicero, che è originario di Noto: di qui la cantilena inconfondibile – indica la bontà di un prodotto”. Che comunque dipende da molte cose: come e quando si svolge la raccolta, maturazione del frutto, la velocità con cui il carico viene trasformato nell’impianto di molitura. E attenzione, se qualche componente degli ingranaggi non è trattato adeguatamente si rischia di mandare in malora un’intera produzione. Sapendo tutte queste cose uno è portato a essere più indulgente, non foss’altro che per rispetto al sudore di chi si incarica di portare a termine il miracolo in bottiglia. Qualcuno, però, è immangiabile davvero. Adatto al motore di una macchina, forse. E infatti, Cicero insiste: “Non siate buoni, più alta è la forbice fra un campione e l’altro, tanto più netto il giudizio finale”.
E soffia, aspira, pulisci, bevi, sciacqua: finalmente li hai assaggiati tutt’e otto. Scovare l’amaro è difficile, serve tempo, esperienza, attitudine. Il piccante, invece, è alla portata di tutti perché – se c’è – pizzica la gola. Spiegano che la Coratina pugliese è la varietà che ne è talmente carica da non essere adatta a tutti i palati. Alla consegna delle pagelle si sta in trepidante attesa. Avremo capito qualcosa? Beh, i giudizi sull’olio migliore collimano: cioè la pensano allo stesso modo esperti e inesperti su quella meraviglia color verde mela che costa 50 euro ogni mezzo litro; così come quelli sul campione che ha destato meno entusiasmo e che nei supermercati si trova 7 euro al litro.