(Luciano Sbraga, Lino Enrico Stoppani ed Enrico Dandolo)
di Michele Pizzillo, Milano
Certo che c’è la ripresa. Lo dicono i consumi fuoricasa, tornati addirittura a livelli pre-crisi. Ed è tutto documentato, assicura Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) nel consegnare ai giornalisti convocati a Palazzo Castiglioni, sede della Confcommercio di Milano, il “Rapporto annuale 2017 sulla ristorazione”, questa volta dedicato a Gualtiero Marchesi perché vera espressione di “intelligenza e umanità della ristorazione italiana”.
Ai giornalisti invitati alla presentazione della ricerca firmata dall’Ufficio studi di Fipe, Stoppati ha evidenziato una serie di considerazioni prima di affermare che la ristorazione è il motore della ripresa economica dell’Italia. Perchè con 41 miliardi di euro di valore aggiunto, è il settore trainante della filiera agroalimentare italiana, più importante di agricoltura e di industria alimentare. Quindi “sarebbe il caso di trasformare in ministero delle politiche alimentari l’attuale ministero delle politiche agricole, spesso appiattito sugli interessi delle imprese agricole, trascurando, così, la ristorazione che mette insieme 329.787 imprese e che con oltre un milione di posti di lavoro, si conferma tra i pochi settori in grado di creare nuovi posti di lavoro. Insomma, dice il presidente di Fipe “restiamo la componente principale della filiera agroalimentare italiana nella creazione di valore e di occupazione”. E, da uomo pragmatico, non sottovaluta gli aspetti negativi che ancora oggi condizionano la crescita della ristorazione italiana. Così, dice Stoppani “le ombre sono rappresentate dall’eccesso di offerta; dal numero elevato di imprese che chiudono. La produttività rimane sotto ai livelli toccati prima della crisi. Dalle infiltrazioni malavitose. Diventa difficile in queste condizioni trovare le risorse per investire e fare quelle innovazioni di cui il settore ha grande bisogno”.
Tra i punti di maggiore interesse evidenziati dal rapporto ristorazione, la crescita dei consumi fuoricasa: l’impatto della crisi sui consumi alimentari in casa (meno del 10,5 per cento pari a una flessione di 15,9 miliardi di euro tra il 2007 e il 2016) ha fatto in modo che il peso della ristorazione sul totale dei consumi alimentari guadagnasse ancora qualche posizione, rafforzando la tesi che vede gli italiani come un popolo a cui piace stare fuori casa, tant'è vero che il fuori casa vale ormai oltre il 35% del totale dei consumi alimentari delle famiglie con un trend di moderata ma costante crescita. Elevato il turnover imprenditoriale. E' stato evidenziato durante la presentazione del rapporto: nel 2016, hanno avviato l’attività 15.714 imprese, mentre circa 26.500 l’hanno cassata, con un saldo negativo per oltre 10 mila unità. Nei primi mesi del 2017 hanno avviato l’attività 10.835 imprese, mentre 19.235 l’hanno cessata. Poi c’è il dolente capitolo dell’innovazione, perché il 60% degli esercizi non utilizza nessuno strumento digitale e il 40% non ricorre agli strumenti di gestione dei processi interni”.
Secondo gli indicatori dei consumi fuori casa (Iceo), sono oltre 39 milioni le persone che consumano pasti fuori casa: 13 milioni di heavy consumer, così sono definiti coloro che consumano 4-5 pasti fuori casa a settimana (per lo più uomini 35-44 enni, residenti nel Nord Ovest); 9,7 milioni di average consumer, con 2-3 pasti alla settimana (uomini 18-24enni e residenti nel Centro Italia); 16,5 milioni di low consumer, con 2-3 pasti al mese fuori casa e sono in prevalenza donne di età superiore ai 64 anni e residenti nelle regioni del Nord Italia. Il Rapporto Fipe, comunque, non tralascia nessun aspetto che riguarda la ristorazione italiana. Tant’è vero che passa in analisi la ripartizione dei consumi fuori casa durante l'arco della giornata. Partendo della colazione, consumata fuori casa dal 63,8% degli italiani, con diversa intensità: 5,8 milioni almeno 3 o 4 volte alla settimana, mentre per oltre 5 milioni è un rito quotidiano. Il bar/caffè è il luogo deputato alla colazione per eccellenza, senza alcuna distinzione di genere, età e area geografica. A seguire il bar pasticceria, preferito dalle donne (64,1% contro il 58,2% degli uomini) e nel Nord Est (64,9%). Le alternative restano esigue, come ad esempio i distributori automatici verso i quali si indirizza il 16,4% dei consumatori. La spesa media per la colazione fuori casa è tra i 2 e i 3 euro. Solo l'1,3% spende meno di un euro, e nel caso si tratta quasi sempre di heavy consumer.
Passando al pranzo, le relative caratteristiche dipendono molto dai giorni della settimana. Al 67,1% degli italiani, pari a poco meno di 34 milioni, capita di consumare il pranzo fuori casa durante la settimana. Per 12,7 milioni si tratta di un'occasione abituale, almeno 3-4 volte alla settimana. La spesa durante la settimana è prevalentemente concentrata nella fascia 5-10 euro (il 48,7%). Nei fine settimana i luoghi del pranzo, i prodotti consumati e la spesa cambiano in modo significativo. Un aspetto particolarmente interessante riguarda la percezione del pranzo fuori casa da parte di chi lavora. Per un lavoratore su due è la qualità del cibo il punto di forza del pubblico esercizio dove consumare il pranzo. Sono molto importanti poi la vicinanza al luogo di lavoro, la rapidità del servizio e l'attenzione al portafogli. Risulta curiosa la percentuale di appena l'8,4% di chi ritiene importante la presenza di un POosall'interno del bar. Più significativa la segnalazione dell'uso dei buoni pasto (23,6%). A proposito di buoni pasto si rileva che il 43,2% dei lavoratori dipendenti del campione (il 58% del totale) li riceve dal proprio datore di lavoro. Come si vede sono ancora molti i dipendenti che non hanno a disposizione il servizio sostitutivo di mensa. In generale il pranzo si paga per di più in contanti (69,3%), ma oltre un quarto dei lavoratori intervistati privilegia la moneta virtuale.
Venendo alla cena, il 60,9% degli intervistati ha consumato almeno una cena fuori casa con riferimento ad un mese tipo. Si sceglie principalmente la trattoria o la pizzeria. La fascia di prezzo per una cena tipo è tra i 10 e i 20 euro, anche se più di un terzo degli italiani riserva ad una singola cena dai 21 ai 30 euro. Solo un intervistato su cento è disposto a pagare più di 50 euro per consumare l'ultimo pasto della giornata.
Infine, la “demografia” dei pubblici esercizi. Secondo le rilevazioni di Fipe, sono attive 329.787 imprese di ristorazione. La Lombardia è la prima regione per presenza di imprese del settore, con una quota sul totale pari al 15,4%, seguita da Lazio (10,9%) e Campania (9,5%). La rete dei pubblici esercizi è dunque ampia e articolata sull'intero territorio nazionale, nei piccoli come nei grandi centri urbani. La ditta individuale resta la forma giuridica prevalente, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno dove la quota sul totale raggiunge soglie che arrivano ad oltre il 70% del numero complessivo delle imprese attive (è il caso della Calabria). Le società di persone si confermano invece opzione diffusa di organizzazione imprenditoriale nelle aree settentrionali del Paese. Il 32,4% delle imprese è attiva come società di persone, mentre la quota delle società di capitale è di poco al di sopra del 12%. In tale contesto merita una segnalazione il 12,3% della Lombardia al Nord, il 26% del Lazio al Centro e il 14,7% della Campania al Sud. Alle “altre forme giuridiche” che ricomprendono, ad esempio, le cooperative va la quota residua dell'1,2%.
“I ristoranti in particolare ammontano a 177.241 unità. Il consolidato sorpasso dei ristoranti sul bar è il risultato di un'evoluzione del mercato che si è accompagnata al cambiamento del sistema delle regole grazie ai quali gli imprenditori privilegiano di qualificarsi come ristoranti, anziché bar, per disporre di meno vincoli nello svolgimento dell'attività”, sottolinea Luciano Sbraga, responsabile dell’Ufficio studi Fipe. Alla presentazione del rapporto ristorazione ha partecipato anche Enrico Dandolo, amministratore delegato del Gruppo Gualtiero Marchesi e direttore dell’Accademia fondato dal Maestro nel 2010. Che ha ricordato alcune confidenze fatta da Paul Bocuse a Marchesi come “la cucina francese terminerà di primeggiare quando i cuochi italiani capiranno il valore delle materie prime che hanno a disposizione”.