Dopo il tè, il vino: sugli scaffali dei supermercati del Regno Unito sono in arrivo per la prima volta vini dall’India, l’ex colonia di Sua Maestà adesso parte integrante dei paesi protagonisti della crescita economica mondiale.
Waitrose, questo il nome della catena di alimentari di lusso che ha tra i suoi clienti anche la Regina Elisabetta, ha cominciato a vendere due etichette di vino indiano proponendoli come alternativa alla birra per accompagnare piatti speziati tipici della cucina del subcontinente come i curry. «Gli aromi speziati e floreali dei due vini sono ideali per corredare pietanze piccanti», ha detto Matt Smith, l’enologo di Waitrose che ha già fatto conoscere ai clienti della catena vini dalla Croazia e dal Montenegro, Libano, Slovenia, Georgia e Marocco. Entrambi i vini indiani, il bianco Ritu e il rosso Zampa, un syrah «fruttato con un pizzico di pepe e finitura speziata», sono prodotti usando varietà di uva tradizionale nella regione di Maharashtra (India Occidentale). Ritu in sanscrito significa «stagione». Il bianco esce dalle cantine di United Breweries, la distilleria indiana che sforna anche la birra Kingfisher. I vini indiani sono migliorati molto negli ultimi cinque anni e quelli importati da Waitrose non sono le sole bottiglie di qualità che i recenti investimenti fatti nell’industria vinicola hanno trasformato in potenziali concorrenti di Chianti, Merlot e Chardonnay. A Bangalore i vigneti Grover in cui ha investito Veuve Cliquot, hanno importato qualche anno fa ai piedi delle colline Nandi 35 vitigni francesi per produrre, con la consulenza del famoso enologo Michel Rolland, vini che oggi rivaleggiano con la Francia. Per secoli la mappa dei vini era concentrata in due fasce climatiche, tra 30 e 50 gradi di latitudine nord e sud, ma questo sta rapidamente cambiando e non solo a causa del riscaldamento del pianeta. A una recente fiera vinicola internazionale a Londra i produttori indiani si sono fatti notare accanto a quelli thailandesi, argentini, australiani, cileni e neozelandesi, anche se, con la sua posizione vicina all’equatore, le stagioni monsoniche e le ondate di caldo l’India non sembra essere il terreno ideale per la coltura dell’uva da vino. E tuttavia – ha spiegato Smith al Daily Telegraph – la qualità del suolo calcareo e argilloso e la posizione elevata di certi vigneti permette di produrre anche in India vendemmie di alta qualità: «Idealmente non vorresti un clima tropicale, ma ci sono zone dove il suolo è buono, a base di argilla e calcare, che incoraggia le viti a mettere radici in profondità e a lavorare sodo. Non posso dire che l’India è arrivata al livello di Francia o Italia», ha aggiunto Smith: «Ancora non ci siamo. Ma è certamente una nazione da osservare nei prossimi cinque anni».