di Maristella Vita
Dalla Locride, dalla Calabria grecanica, parte una sfida innovativa e liberante. Che ovviamente dovrà fare il paio con una ripartenza sul piano turistico.
Già molte novità sono state avviate da giovani realtà locali imprenditoriali e cooperative che valorizzano con lo straordinario litorale dal mare cristallino e dalle ampie spiagge per niente affollate, l’entroterra aspro ma affascinante, anche con percorsi a piedi ed in bicicletta. Ma tutto parte dal vino. Si narra che nel VII sec. a.C, nella splendida scogliera di Capo Bruzzano (comune di Bianco, un tempo Capo Zefirio), giunsero le navi dei nuovi coloni. Sbarcati, i greci piantano anche le loro viti. Attilio Scienza docente dell'università di Milano, guru del vino italiano, dice che si trattava di una malvasia, presente in tutto l’Adriatico e oltre. Come scrive Esiodo, si facevano passire le uve al sole e poi si spremevano, per un vino dolce e rinomato. Vicino ai vigneti furono costruiti i “palmenti”, oltre ottocento nella locride, specie nell’area Ferruzzano-Sant'Agata. Sono il luogo in cui avveniva la pigiatura dell'uva per produrre il mosto.
Presenti in tutto il mediterraneo fino alla Georgia (patria del vino più antico al mondo, 8000 anni fa), sono stati utilizzati tra l'età ellenistica e quella romano-imperiale ma qui, pare per alcuni, ancora il secolo scorso. Di questo ha parlato con autorevolezza Scienza durante la cerimonia di inaugurazione del Museo “La Verde” (dal nome della fiumara locale, un tempo navigabile, ma dedicato anche al ricordo dell’agronomo locale Rodolfo Ambrogio), presenti tra i molti anche l’Assessore regionale Maria Teresa Fragomeni, Paolo Benvenuti Direttore dell’Associazione nazionale Città del Vino – ha sottolineato il ruolo del vino come legante tra passato, presente e futuro -, ed il Sindaco Aldo Canturi che nell’occasione ha conferito al professore la cittadinanza onoraria.
Scienza, segnalando l’importante lavoro di Orlando Sculli che ha censito la quasi totalità dei palmenti dell’area, catalogando inoltre molte varietà autoctone di vino a salvaguardia dell’alta biodiversità vitivinicola locale, ha lanciato un importante progetto: “Facciamo di Bianco la capitale dei palmenti”. Attraverso questi antichi luoghi di pigiatura, ha ricordato, “studiamo non solo la storia del vino, ma degli usi e delle abitudini delle popolazioni locali dalla preistoria fino all’800 e forse il ‘900. Si tratta di strutture che ci parlano, questo Museo lo spiega bene”, ha insistito. Fare di Bianco la sede di un Centro culturale internazionale, che potrebbe promuovere un incontro mondiale all’anno degli studiosi sui palmenti, colmerebbe una lacuna e farebbe di questa cittadina calabra un luogo di grande valore per il vino e la sua cornice culturale, oggi sempre più apprezzata. Degustare è un’emozione, la bottiglia deve raccontare, lo “storytelling” che propone è il suo vero valore aggiunto; “e voi di Bianco avete tutto – ha incalzato il professore – Anche il vitigno, e non solo quello del Greco. Reputo straordinario pure il vostro Mantonico, che abbiamo scoperto essere geneticamente imparentato, se non proprio il padre – assieme al sangiovese, di molti vitigni italiani di qualità. Il Mantonico è più “moderno” dal punto di vista enotecnico. A differenza del Greco può essere vinificato nella versione “ferma”, oltre che passito; e ha propensione anche alla spumantizzazione, molto richiesta dal mercato intrenazionale che oggi cerca vini bianchi ed emozionali”.