Natalia Ravidà, Francesco Pellegrino, Daniele Salvagno,
Roberto Stucchi Prinetti, Franco Boeri
Il mercato internazionale dell’olio di oliva italiano tocca i 939 milioni di euro e continua a crescere. Qualità e trasparenza le chiavi principali per il migliore posizionamento secondo i produttori italiani. A loro la parola.
Partiamo dal sud, dalla Sicilia, regione che si posiziona in cima al rating dei territori per superficie coltivata a ulivo (quasi 165mila ettari, al terzo posto dopo Puglia e Calabria) e per produzione (3,5 milioni di quintali di olive nel 2011). Ci racconta la sua esperienza di piccolo produttore che ha fatto passi da gigante sul mercato internazionale, Natalia Ravidà, dell’Azienda Agricola Ravidà (a Menfi in provincia di Agrigento), esempio di impresa che decide di destinare la sua produzione quasi interamente al mercato estero. Degli Usa ci parla come di un mercato difficile, ma non a causa dei dazi che non pesano sulla commercializzazione. “Più che altro – dice – è la strana cultura per l’alimentazione che confonde le idee dei clienti e del consumatore: sugli scaffali un olio extravergine di alta qualità, che può costare anche trenta dollari è abbinato ad un altro di ambigua qualità e con un costo al di sotto dei nove dollari”. Diverso lo scenario dei mercati Inghilterra, Germania e Giappone. “Un importatore già ben informato e che posiziona il prodotto in modo adeguato nel punto vendita, garantisce anche al consumatore finale la trasparenza del prodotto, non creando, così confusione” dice la Ravidà. Le prospettive future dell’azienda non escludono l’Italia, dove “il consumatore è più lento a svegliarsi perché ha da sempre contatto con l’olio e, paradossalmente, non è stimolato a comprenderne le peculiarità ed i livelli qualitativi – e prosegue – una volta superato anche l’ostacolo del campanilismo regionale degli italiani, anche il mercato nazionale si aprirà al proprio olio di oliva di qualità”.
Restiamo in Sicilia. Francesco Pellegrino di Terre di Shemir (a Guarrato Trapani in provincia Trapani) che con il suo olio premiato nell’edizione Best in Sicily 2012, rappresenta la regione anche all’estero. Pellegrino concorda con la stabilità del mercato e conferma che la “crisi di combatte con la qualità”. “Alcune criticità non possono essere nascoste – puntualizza- prime fra tutte l’andamento instabile della ristorazione a cui si abbina una riduzione dei tempi di pagamento dei fornitori, non aiuta a sostenere in costi di produzione dell’olio di oliva. Sul mercato internazionale, in particolare, si respira un’area diversa. Sbocchi principali per Terre di Shemir sono Canada e Usa (con NY in prima linea, città che da sola cattura il 20% dell’olio importato dall’USA). Il produttore tiene a sottolineare il concetto di trasparenza e concorrenza leale come chiavi di volta per posizionare il prodotto italiano sui mercati esteri. “Il costo dell’olio di oliva, in particolare, è da considerare come campanello di allarme – dice – perché conduce il cliente, che sia il distributore, il ristoratore o il consumatore, a capire che un livello elevato di qualità deve necessariamente essere abbinato ad un costo adeguato, non esorbitante ma superiore alla media di altri prodotti e coerente con i costi di produzione, in media dodici mila euro a quintale per la molitura da cui si estrae il 12 per cento di olio di oliva. Poi ci sono i “nemici”, gli olii deodorati. Se non si blocca in diffondersi del fenomeno della truffa, la crisi toccherà anche il comparto dell’olio di oliva di alta qualità”.
E sulla scia di questa energia, arriviamo in Puglia, regione che detiene il primato per ettari dedicati alla produzione di olio (oltre 377mila ettari) e per quantità di olive (11,8 milioni di quintali). La questione della truffa e della concorrenza sleale è ripresa da Luigi Terrone dell’Azienda Agricola Ortofrutta Meridionale (Corato in provincia di Bari). Terrone porta avanti la scelta dell’azienda di famiglia di specializzarsi nella commercializzazione della cultivar la “Coratina”, varietà autoctona della murgia barese. Come i produttori che puntano sulla qualità, i suoi 5 mila quintali di olio l’anno non bastano a ampliare la commercializzazione dell’olio all’estero, ma ci spiega di aver puntato su nicchie di mercato, individuate per la particolare sensibilità del consumatore alla qualità del prodotto. In primis, la Francia, con la città di Grenoble intenditrice per il prodotto coratino. Sottolinea la necessità di non scendere al compromesso dell’abbassamento della qualità e del prezzo per guadagnare fette di mercato e afferma che “la qualità ripaga e permette di contrastare la crisi”. Nota dolente per lui “la carente sinergia tra gli operatori del comparto che continuano a presentarsi da soli sul mercato, spesso popolato grossi produttori o da concorrenti sleali”.
Anche Domenico De Palma, del Frantoio De Palma (Corato in provincia di Bari) manifesta le sue perplessità circa il fenomeno di una concorrenza che gioca sui grandi numeri a scapito di piccoli e giovani imprenditori. E' l’esempio del giovane produttore mosso dall’entusiasmo e dalla voglia di puntare su mercati di nicchia, gli unici secondo lui che possono apprezzare le piccole produzioni di eccellenza. Secondo De Palma, per contrastare competitor quali la Grecia e la Spagna “si deve instaurare un feeling con il consumatore che, una volta provato l’olio di oliva extravergine di qualità, non lo cambierà più e continuerà ad acquistarlo”. Ecco che per De Palma la leva per la fidelizzazione della clientela italiana ed estera è la trasparenza, il sapore e la differenza rispetto ad altri prodotti. “Che hanno un punto di forza – dice – la natura, l’andamento dello stagioni, il tempo, che generano un olio sempre diverso, anno dopo anno, che non può essere standardizzato come quello industriale”.
Saliamo un pò, arrivando in Toscana. La regione si colloca al 4° posto tra le regioni italiane per ettari dedicati alla produzione di olio (97,200 ettari circa) ed al 6° per quantità prodotta (1,3 milioni di quintali di olive nel 2011). A raccontarci la sua esprerienza, antica e moderna allo stesso tempo, è Roberto Stucchi Prinetti dell’azienda Badia a Coltibuono (Gaiole in Chianti in provincia di Siena). L’azienda esporta all’estero il 90% della produzione con Usa in testa, senza riscontrare lì, dice Stucchi, alcun problema legato ai dazi e alle restrizioni su cui, invece, le recenti investigazioni dell’United States International Trade Commission stanno appurando l’eventualità. Per lui “quello statunitense è un mercato in cui non è ancora chiaro il posizionamento dell’olio extravergine italiano a livello qualitativo, fattore che limita le potenzialità del prodotto sui mercati internazionali. E per sollecitare il consumatore straniero ci sarebbe bisogno di pulizia”, intendendo lo sgombero del mercato da oli non di qualità e di dubbia provenienza. Fondamentale poi per lui puntare su comunicazione e promozione dell’olio extravergine di olia su vetrine quali di Fancy Food di San Francisco (tenutosi proprio in questi giorni).
Passiamo al Veneto, con i suoi 5.000 ettari di coltivazione si posiziona al 14° posto tra le regioni italiane, anche in termini di quantità di olive prodotte (79 mila quintali). È entusiasta dell’esperienza appena vissuta al Fancy Food Daniele Salvagno dell’azienda Redoro-Frantoi Veneti (Grezzana in provincia di Verona) ci racconta dell’eccellente organizzazione turistica e della sinergia messa in scena a San Francisco dove il turista è accolto in hotel con un calice del vino locale, “una sinergia – dice – da cui anche noi italiani dovremmo imparare”. Ma manca qualcosa al produttore italiano dichiara Salvagno: “La voglia di fare rete – dice Salvagno – a cui si accosta una propensione a voler vendere tutti i prodotti italiani all’estero, confondendo anche il cliente che non sa più bene su quale prodotto è specializzato quel fornitore”. Alcuni freni all’ingresso del prodotto italiano le ha percepite in Brasile, dove purtroppo è molto presente olio “pseudo italiano” che ostacola la penetrazione sul mercato di olio di alta qualità.
Da est passiamo ad ovest, in Liguria. Conta quasi 16 mila ettari di territorio coltivato a uliveti ed una produzione di quasi 235 mila quintali di olive, numeri che le permettono di posizionarsi rispettivamente all’11° ed al 13° posto in Italia. Ancora un piccolo produttore che punta sulla qualità: Olio Roi (Badalucco in provincia di Imperia). Franco Boeri ha una percezione stabile del mercato con sfumature anche di crescita, “perché, dice, l’olio di oliva italiano è sinonimo di qualità”. L’azienda è presente su 18-19 mercati internazionali, con piccole partite di olio e in negozi selezionati. Gli storici dell’azienda sono Germania, Stati Uniti e Giappone.
Boeri, che si occupa della distribuzione dell’olio di oliva nei punti Eataly, in Italia e all’estero, ci parla anche del ruolo di questo importante catalizzatore della cultura enogastronomica italiana: “prima di essere presenti come olio ufficiale ad Eataly, solo il 15% della produzione Roi rimaneva in Italia, ora la richiesta è salita al 45%”. La qualità in prima linea, certo, ma senza dimenticare l’importanza della diversificazione e della varietà delle produzioni di olio italiano: “con più di 600 cultivar – dice Boeri – non è possibile pensare di appiattire la produzione italiana attraverso un marchio omologatore che fornisce all’importatore e al consumatore solo l’informazione cento per cento italiano”. E infatti sottolinea “gustare un olio proveniente da una regione come la Liguria, dove il territorio impervio non permette la meccanizzazione della raccolta (con ripercussioni ovviamente sul prezzo finale), è diverso rispetto ad altri territori. La qualità, se è elevata, garantisce comunque ottimi risultati, ma sicuramente il gusto è determinato dalla provenienza specifica del territorio e questo il consumatore deve saperlo”. per Boeri “non bisogna appiattire la cultura diversificata e peculiare della produzione olivicola italiana, ma valorizzarla con l’impegno dei piccoli produttori che da sempre aprono le porte dei mercati internazionali”.
Lucrezia Balducci