di Giosetta Ciuffa
Con la recente istituzione dell’indicazione geografica protetta “Olio di Roma” salgono a 313 i prodotti Dop e Igp italiani.
Analizziamo quindi la nuova denominazione, a neanche un anno dalla prima campagna olearia che ha visto la possibilità di avvalersi del bollino giallo-blu. Duemila circa gli ettari totali interessati, con una zona di produzione estesa quasi per tutto il Lazio: unica provincia interamente compresa è la viterbese. 316 i comuni coinvolti, di cui 107 nella città metropolitana di Roma; 244 gli operatori iscritti all’IGP, tra cui principalmente 194 olivicoltori, 44 frantoi, 49 confezionatori, 8 intermediari; 92 invece gli aderenti al consorzio di tutela istituito erga omnes nel maggio scorso e presieduto da David Granieri, che oltre le cariche istituzionali è anche a Nerola, in provincia di Roma: “Obiettivo è far camminare immediatamente il consorzio nei contesti decisionali, oltre che apportare valore mediante attività di promozione e momenti di approfondimento, tesi anche a migliorare la vita amministrativa delle imprese: certificare non deve essere visto come un onere ma un’opportunità”. Ideatore della nuova Igp con il consorzio olivicolo Unaprol insieme a Op Latium, da lui presieduti, Granieri ribadisce quanto sia evocativo il richiamo a Roma, città di tradizione olivicola già nell’antichità: “Un’indicazione che porta questo nome è più penetrante di qualsiasi altra, persino del Toscano Igp, che infatti è stato il nostro maggior alleato sul mercato, avendo compreso che insieme si può fortificare la barriera contro le aggressioni esterne”. Indubbiamente un’etichetta che può esibire il Colosseo apporta dei vantaggi: “L’identificazione passa anche per il bene culturale. Se la scelta del Colosseo può sembrare inflazionata, lo è perché è il monumento più visitato al mondo”.
(Fabrizia Cusani e Giampaolo Sodano)
Oltre a ciò, Granieri punta molto sul legame con Op Latium, organizzazione di produttori di fatto detentrice della più importante quantità di olio atto a divenire Igp. “Proprio questo connubio tra consorzio e Op deve generare valore: mettere a sistema piccoli e grandi produttori per costituire una massa critica adeguata che partecipi attivamente alle dinamiche di mercato. Senza questo, si rischia di non raggiungere un valore tangibile, mentre intendiamo capitalizzare i vantaggi di marketing, profilo sensoriale ed esclusività del prodotto”, tiene a precisare. Produttrice di monovarietali certificati a Sonnino (LT), Lucia Iannotta è certa del maggior spessore estero di Roma rispetto al più generico “Italy”: “Vendiamo un’appartenenza e una storicità del prodotto che abbiamo solo noi, fondamentale per chi come me sta proiettando tutto sull’export: il mio importatore, che mi chiede olio bio perché all’estero ricercano più la qualità che in Italia, quando ha saputo che avrei prodotto l’Olio di Roma lo ha subito inserito”. L’interesse oltreconfine è ben più alto di quello suscitato nel Lazio, dove l’iniziativa ha raccolto diverse critiche, con alcuni comuni che hanno persino preferito rimanerne fuori. Ciò ha contribuito a creare alte aspettative anche in Italia, tanto che in borsa merci l’Olio di Roma è stato quotato il giorno stesso della prima molitura anziché attendere gli stock di riferimento. Sottolinea David Granieri: “La piazza di Bari ha dovuto rilevare quest’attesa per poi definire il prezzo di 8 euro più iva al chilo. Non credo esista un prodotto che possa vantare questa particolarità”. Capace inoltre di avviare nel Lazio una spirale di crescita: quotando l’Igp, più massificante, le Dop sono state spinte in alto, con quella della Sabina che ha guadagnato il 30% in termini di valore, riuscendo quindi in una segmentazione di mercato anche rispetto ai valori di riferimento. E arricchendo il territorio: “Un oliveto che, dopo la certificazione “olio di Roma”, aumenta il valore di produzione lorda vendibile (Plv), genera non solo ricchezza economica, ma patrimoniale: se un terreno produce un certo quantitativo, che però vale il doppio, anche la terra varrà di più”. Lato produttori, è unanime l’entusiasmo soprattutto per il riscontro estero. “Abbiamo abbracciato questa esperienza perché è una vetrina incomparabile: Roma è conosciuta in tutto il mondo e l’Olio di Roma ha un valore aggiunto come marketing a livello internazionale, mentre per il consumatore italiano è probabile che abbia più appeal il Sabina Dop – osserva Roberto Marchesi, di Montelibretti (Roma) – Abbiamo quindi lavorato sull’etichetta e al momento l’aspettativa è grande e l’entusiasmo è tanto, ma siamo solo all’inizio: per le vendite dovremo aspettare il posizionamento del prodotto”. “Un grande obiettivo di mercato, con notevole appeal soprattutto all’estero. Per noi già una soddisfazione perché in questo 2022, a neanche un anno dalla nascita della nuova certificazione, siamo stati premiati tra i migliori Igp Roma e, al Vinitaly, tra i migliori packaging. Il riscontro sul mercato è ancora limitato per il potenziale, ma ci aspettiamo belle novità nei prossimi anni”, dice Alessandro Donati del Frantoio Fratelli Narducci di Moricone (Roma).
(La bottiglia premiata al Vinitaly)
A Vetralla (VT), è Giampaolo Sodano che ha intravisto subito le possibilità che si aprivano per il suo Tuscus. Ha quindi aderito al nuovo disciplinare con la scelta precisa di mettere online e a scaffale la produzione dell’Olio di Roma nei punti vendita Bennet tra Lombardia e Svizzera: “Un ulteriore posizionamento del nostro brand è stato il motivo per cui abbiamo certificato, offrendo quindi una gamma più ampia dei nostri prodotti; nello specifico, in Nord Italia da 15 anni siamo già molto ben posizionati con la DOP Tuscia. L’IGP è un’occasione di investimento che restituirà risultati a venire”. Chi non ha creduto alla nuova Igp, lo ha fatto per campanilismo o temendo una sovrapposizione con le Dop di appartenenza. Lucia Iannotta la spiega così: “Il mio Olio di Roma per il disciplinare è uguale a quello prodotto altrove, ma la mia Itrana ha un sentore di pomodoro, l’altro sarà più erbaceo o mandorlato. Accomunarli sotto lo stesso nome ha suscitato critiche, ma ognuno rappresenta il proprio territorio per mezzo della propria cultivar. E un’Igp che porta il nome della nostra città di riferimento è un notevole fattore empatico, e personalmente ho percepito questa indicazione geografica a me vicina”.