di Marco Oreggia e Laura Marinelli, DoctorWine.it
È stato definito nei peggiori dei modi, con le tinte più fosche e gli aggettivi più negativi: anno nero dell’olio italiano, caratterizzato da una campagna olivicola disastrosa, annus horribilis per l’intero settore, devastato da un clima impazzito e falcidiato dalla mosca olearia che ha infestato le piante e fatto marcire le olive sugli alberi.
Risultato? Produzioni in picchiata, stato di allarme e tanta confusione. Ma questa annata “limite” deve farci riflettere sulle problematiche di un comparto debole e troppo a lungo trascurato.
Si è partiti da subito, fin da ottobre-novembre, in piena campagna olearia, con previsioni catastrofiche immancabilmente dimostrate dai primi dati statistici.
Oggi possiamo confermare che, in Italia, la produzione olivicola 2014/2015 ha registrato un drastico calo. Anzi, secondo l’osservatorio economico di Unaprol, la diminuzione sarebbe anche maggiore rispetto alle prime stime di novembre che attestavano un livello pari a 302 mila tonnellate, contro le 464 mila diffuse dall’Istat per il 2013. Il dato era di fatto una sintesi tra un’ipotesi minima di 286mila tonnellate (-38%) e una massima di 310mila tonnellate (-33%). Ma sta di fatto che i volumi, al momento, non supererebbero le 235mila tonnellate (fonte Ismea), e la tendenza lascerebbe intravedere un ulteriore abbassamento della produzione nazionale in fase finale.
Questa situazione è riconducibile principalmente all'andamento negativo del clima. La stagione estiva, eccessivamente piovosa, ha favorito gli attacchi di alcune specie patogene (in primis la mosca) che hanno compromesso sensibilmente importanti aree olivicole della penisola, causando danni sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Soltanto negli oliveti condotti in maniera professionale, e dove si è intervenuti tempestivamente per contrastare questi attacchi, la produzione è stata abbastanza accettabile, soprattutto sotto il profilo qualitativo. Ma in parecchi casi si è scelto o di non procedere con interventi particolari, in considerazione degli alti costi a fronte di esiti produttivi incerti, o di non raccogliere affatto.
Uno sguardo d'insieme
Da un punto di vista territoriale grava sul risultato finale soprattutto la bassa produzione delle regioni tradizionalmente più fruttifere, Puglia e Calabria, ridotta, secondo le stime di novembre, di più di un terzo rispetto allo scorso anno. A moderare, almeno in parte, tale esito c’è la Sicilia, la cui flessione dovrebbe attestarsi intorno al -22%, anche se pure nelle restanti regioni meridionali ci si aspettano diminuzioni violente, con punte di -45% per Basilicata e Abruzzo, e -40% per la Campania. La produzione risulterebbe quasi dimezzata nel Centro Italia e in Liguria, mentre nel Nord si prevedono quantitativi molto al di sotto dello scorso anno. In questo scenario fanno eccezione soltanto la Sardegna, dove si stima un +30% rispetto a un 2013 di scarsissima produzione, e il Piemonte che però risulta minimamente incisivo sul contesto generale dati gli esigui quantitativi abitualmente prodotti.
Intanto il mercato sta rispondendo con prezzi in aumento, soprattutto quelli dell’extravergine. C’è infatti una domanda già molto dinamica su questo prodotto, soprattutto sui lotti migliori. E i nostri consumi dipendono sempre più dall'estero. In Italia, infatti, il fabbisogno annuale di olio si attesta intorno alle 600mila tonnellate ed è, generalmente ma in annate come questa più che mai, superiore rispetto alla produzione nazionale. Ciò rende il nostro Paese non autosufficiente, anche perché va considerata la quantità di prodotto italiano destinato all'esportazione, ovvero circa 400mila tonnellate (fonte: Assitol e Federolio).
Le principali criticità
Questa situazione ha messo in evidenza le principali criticità del settore. Per prima cosa è emerso come la mancanza di adeguati interventi agronomici, come le potature e i trattamenti fitosanitari, incidano in maniera decisiva sulla produzione. Ed è apparso soprattutto come queste cure sono spesso omesse per poca professionalità (olivicoltori hobbisti più che imprenditori) o per mancanza di risorse economiche. Alla base, probabilmente, c’è – come affiora dall’accorato appello del Presidente dell’ANFO (Associazione Nazionale Frantoi Oleari) Michele Russo – “un'insufficiente remunerazione dell’olio e la mancanza di un’adeguata prospettiva reddituale, fattori che, alle estreme conseguenze, portano all'abbandono degli oliveti da parte delle vecchie generazioni stanche di non vedere riconosciuto il giusto valore al proprio lavoro e poco rimpiazzate dalle nuove”. Questo fa parte di uno scenario tutto italiano di un’olivicoltura strutturalmente debole e disomogenea, caratterizzata da un marcato iperfrazionamento, con un gran numero di olivicoltori che ottengono volumi esigui, prediligendo la valorizzazione ambientale e storica dell'olivo anziché investire in impianti maggiormente razionalizzati. Mancano elementi di sinergia nel comparto e i singoli produttori non sono sufficientemente supportati né dalle istituzioni, né dalle associazioni di categoria, né dalla ricerca scientifica: lo dimostra il fatto che non sia stato reso ancora operativo un piano olivicolo nazionale; e a questo si aggiungono lo scarso incremento annuo delle superfici impiantate, i ridottissimi volumi degli oli imbottigliati a Denominazione di Origine Protetta e la mancanza di strategie comunicazionali.
Eppure negli ultimi anni numerosi olivicoltori e frantoiani stanno puntando sull'extravergine di qualità, con una crescita significativa di interesse per il settore che rischia però di essere invalidata da annate come questa. Perché è inevitabile la ripercussione, sul piano commerciale, di un calo produttivo così vertiginoso. E non solo quest’anno, perché il prodotto è insufficiente, ma soprattutto nei prossimi quando verranno a mancare fette di mercato precedentemente conquistate.
L’aspettativa per il futuro è che il disperato appello dei produttori più attivi e lungimiranti sia di stimolo per l’intero comparto, per lavorare meglio e per scuotere finalmente associazioni di categoria e istituzioni affinché sostengano un settore cardine dell’economia nazionale, fonte di un prodotto di qualità che dovrebbe rappresentare con orgoglio l’eccellenza italiana all’estero.