(Luca Bianchi e Silvana Ballotta)
Al Vinitaly si affronta il tema dei fondi comunitari destinati alla produzione Ocm del vino. Quali sono le strade della promozione da percorrere a fronte di un budget annuale che supera i cento milioni di euro?
Se ne parla nel corso di un convegno organizzato dalla Business and Strategies. Il sistema del vino nel piano dell'internazionalizzazione dell'agroalimentare italiano ha molto da fare. “Innanzitutto non possiamo permettere che le risorse disponibili non siano spese – afferma Luca Bianchi, Capo del dipartimento delle politiche competitive della qualità agroalimentare – Il 70 per cento delle risorse stanziate è destinato alle Regioni. Il 30 allo Stato centrale”.
Ma il problema principale riguarda proprio le Regioni con risultati ancora imparziali delle risorse spese fino ad oggi a livello regionale e multiregionale. “Ci aspettiamo che si inneschi un sistema di responsabilità. Non mancherà il supporto ministeriale. Ma bisognerà innanzitutto lavorare per ottenere omogeneità negli interventi. Servono una comune griglia di valutazione e bandi simili. Ogni impresa dovrà trovarsi davanti allo stesso modello di bando, ovunque, indipendentemente dalla Regione in cui si trova”. Altro obiettivo sarà lavorare per aumentare il limite minimo della soglia di realizzazione degli interventi. Ma il Piano Made in Italy riguarda anche la collaborazione con la Gdo. “Nelle politiche di filiera dell'agroalimentare, la Gdo non può mancare – prosegue -. Proviamo a tracciare un modello che si basi su accordi commerciali tra grande distribuzione italiana e internazionale. Questo potrebbe creare un reciproco interesse da consolidare nel tempo, in autonomia, andando quindi oltre la compagine delle risorse pubbliche”. Sul tema interviene Silvana Ballotta, Ceo di Business Strategies: “La nostra imprenditoria deve uscire fuori dall'individualismo per andare verso un sistema organico. Fatta questa premessa, è fondamentale migliorare il nostro livello di comunicazione per creare ordine e semplificazione. Gli americani dicono che noi italiani siamo battitori liberi. Non male per certi versi. Ci rende forti esserlo, ma c'è bisogno di organicità. Soprattutto per mercati come la Cina. Le frammentazioni confondono e non aiutano a farci conoscere”.
Non è un caso infatti se la quota di mercato dei vini italiani in Cina, nel 2014, è scesa al 7 per cento. Probabilmente proprio per questa scarsa conoscenza e la frammentazione delle denominazioni. Nel particolare con il supporto di Nomisma Wine monitor la società Business and Strategies ha creato un osservatorio per monitorare con attenzione l’evolversi di quei mercati che non solo oggi, ma ancora di più in futuro offriranno maggiori prospettive di crescita ai vini italiani. Stando ai dati forniti da Nomisma, attualmente i consumi di vino nei paesi fuori dall'Unione Europea pesano per il 47 per cento su quelli mondiali. E la Cina si conferma un mercato fertile. Tra i mercati emergenti però ritroviamo l'Australia e alcuni Paesi africani, come Angolia e Nigeria.
F.L.