Silvana Ballotta, è ceo di Business Strategies, società che si occupa di sviluppo d’impresa e che offre servizi di pianificazione strategica ed elaborazione di progetti d’investimento indirizzati ai mercati esteri.
Ovvero di “Ocm vino promozione” se si parla di aziende vinicole. A lei abbiamo chiesto tutto (o quasi) sullla campagna 2014-2015 che sta per partire e che è molto attesa dalle cantine di tutta Italia come uno dei veicoli più importanti per farsi conoscere nei mercati extra Ue .
Un bando ormai pubblico. Quali sono i punti cardine?
“Intanto registriamo l'assenza di fondi a livello nazionale perché le somme previste serviranno a coprire impegni precedenti. Questo vuol dire la necessità di presentare progetti a livello regionale o multiregionali, in base a quelle che saranno poi le decisioni delle Regioni di attivare fondi multiregionali”.
Quanti fondi sono previsti? E quali le novità rispetto al passato?
“Cento milioni, più o meno gli stessi rispetto agli anni scorsi. La programmazione è quasi immutata perché il decreto, quello del 2010, in realtà è scaduto e non hanno avuto tempo per rinnovarlo. Il vero cambiamento sarà l’anno prossimo e forse si inserirà anche il mercato UE .L’unica vera novità di quest'anno è che dalle voci ammissibili sono state tolte le spese per il monitoraggio e la valutazione che in vecchi bandi incidevano per il 3%, adesso sono state conglobate nelle spese generali del beneficiario. Ciò va a discapito di un controllo sulla verifica dell’efficacia”.
E tocca un po’ anche il vostro lavoro…
“Progettazione, gestione e coordinamento restano voci ammissibili previste e necessarie. Il taglio legato al monitoraggio è di tipo concettuale. Nella vecchia programmazione si chiedeva che il monitoraggio venisse fatto da un ente terzo, al fine di consentire una fotografia obiettiva, ridurre il tutto all’autovalutazione rischia di essere riduttivo, ma non vogliamo essere pessimisti”.
Chi sono i beneficiari di questo piano Ocm?
“Sono le aziende singole o aggregate o i consorzi di tutela. L’azienda singola se ha i requisiti a livello dimensionale può presentare il proprio progetto alla Regione di competenza, ma non al ministero. La necessità di aggregarsi oltre che per migliorare l’utilità dell’investimento e anche per i requisiti dimensionali, ci vuole un numero di imbottigliato minimo, un numero di fatturato minimo, una quota export”.
Quando scade il bando?
“Stiamo aspettando le emanazioni regionali. Di certo il 18 luglio, Agea ha chiesto ad ogni dirigente regionale di avere i decreti firmati con tutte le approvazioni. Presumiamo che le scadenze da parte delle Regioni siano quindi da metà a fine giugno”.
Come saranno ripartiti i cento milioni?
“C’è già il quadro. La quota di competenza nazionale deve tener conto anche delle domande approvate negli anni precedenti. Si tratta di progetti che, per esempio, hanno fondi impegnati fino al 2016”.
Quanto dei fondi vanno alle Regioni?
“Un 30% è di livello ministeriale, il resto è suddiviso fra le varie Regioni”.
Come si è evoluta l’Ocm per la promozione negli anni a livello puramente numerico?
“Il primo bando è 2008-2009. È stato aperto a giugno, in 15 giorni abbiamo presentato in tutto il territorio nazionale 12 progetti. All’ultimo anno sono arrivati 230 progetti”.
Realmente questi fondi e queste misure servono per far conoscere il vino italiano nel mondo?
“Assolutamente sì”.
Fra le misure quali sono le più efficaci, a suo avviso?
“Occorre bilanciare. Non ci può essere solo un incoming o una pagina pubblicitaria su una rivista specializzata, rischiano di essere da sole azioni sterili e inefficaci. L’ideale è un programma strutturato che consente l’educazione e l’informazione al vino. E la possibilità per gli stranieri di verificare nelle terre di produzione quello che man mano hanno sentito a casa loro. Outgoing e incoming, e poi bisogna parlare con gli utenti finali e non confondere gli interlocutori”.
Secondo lei tra i Paesi extra Ue, ce ne sono di più sensibili verso il vino italiano?
“Ci sono delle grosse differenze. Gli Stati Uniti e il Canada sono i più stabili ed ormai i più pronti a capire e a conoscere. Nei Paesi più lontani, come Cina ed altre aree emergenti non occorre solo un investimento in termini di risorse economiche, ma anche in termini di risorse umane e di tempo. Cosa che le nostre aziende spesso sottovalutano. Sono mercati che vanno innanzitutto capiti, pensiamo ai cinesi, non hanno un’educazione alimentare pronta al nostro vino”.
I francesi spesso ci danno lezioni sul vino. Anche sulla promozione hanno qualcosa da insegnarci?
“Mi piace pensare che anche noi insegniamo qualcosa a loro. I francesi sicuramente sono stati capaci di fare sistema, lo dimostrano continuamente nelle fiere, nelle degustazioni importanti. Però noi abbiamo una fantasia e una capacità di comunicare che loro ogni tanto dovrebbero osservare”.
F.C.
Fra. S.