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Scenari

Nicodemo Librandi: “Quanto è cambiata in questi anni la Calabria del vino…”

30 Maggio 2023
Nicodemo Librandi durante la sua lectio magistralis Nicodemo Librandi durante la sua lectio magistralis

All’aula Quistelli dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, alla presenza di autorità civili e militari, è stato conferito il “Dottorato Honoris Causa in Scienze agrarie, alimentari e forestali” a Nicodemo Librandi, simbolo del vino calabrese. Si legge nella motivazione: “Per la sua instancabile attività di ricerca ed innovazione nel settore della vitivinicoltura. Il dottor Librandi ha svolto un’intensa attività nel recupero della biodiversità viticola, della quale la Calabria è estremamente ricca per la sua storia vitivinicola millenaria. Questa attività ha condotto alla costituzione di una collezione di vitigni regionali di estremo interesse per il presente ed il futuro della vitivinicoltura calabrese, valutandone le loro attitudini e peculiarità. In altri ambiti della vitivinicoltura, Nicodemo Librandi, assieme al compianto fratello Tonino, ha svolto anche un’encomiabile attività di ricerca ed innovazione nel settore della meccanizzazione delle principali pratiche in vigneto, nonché nelle tecnologie enologiche più avanzate per la massima valorizzazione del vino ottenuto da varietà autoctone”.

Librandi, durante la cerimonia è apparso molto emozionato e, in apertura alla sua lectio magistralis, ha voluto rivolgere un pensiero al fratello al quale era “legato simbioticamente”, come ha dichiarato. Per poi proseguire nel racconto di una vita animata dalla passione per il suo lavoro, passione che ha portato la sua azienda a divenire un punto di riferimento regionale e nazionale. “Non ci sono parole per esprimere le mie sensazioni – ha affermato Librandi – si tratta di una soddisfazione grandissima perché mi vedo riconosciuto il merito di essere stato utile alla mia famiglia, alla mia azienda ma anche alla Calabria. Nel mio lavoro ho messo tanta passione, tanto impegno, spinto dal bisogno di approfondire progressivamente la conoscenza della nostra viticoltura, per capire e trovare il modo di contribuire a riportare la Calabria del vino al posto di rilievo che merita. Posso sentirmi pienamente soddisfatto, perché penso di aver innescato un forte fermento intorno al mondo del vino calabrese e contribuito in modo rilevante alla sua rinascita”.

Pubblichiamo di seguito ampi stralci della lectio magistralis.

“La Calabria è una regione straordinaria, per clima, storia, tradizioni, siti archeologici e per la sua ricca biodiversità. Tra le piante autoctone presenti, la vite occupa sicuramente un posto importante nella storia regionale. Presente in ogni angolo del territorio, la vite vive bene lungo i litorali come sulle colline e con la sua presenza contribuisce, insieme all’ulivo, gli agrumi ed i cereali, a caratterizzare tutto il paesaggio, tanto discontinuo e variegato. (…) Io sono sempre stato affascinato da questo mondo. Mi chiamano “professore” ma in realtà mi sono sempre sentito alunno e ho avuto la fortuna di avere tanti professori che hanno fatto crescere in me l’amore per la vigna e per la nostra viticoltura. In primis mio padre, piccolo ed esperto viticoltore locale a cui sono sempre stato molto vicino e che amorevolmente rispondeva con garbo alle mie domande e ad i miei perché. Poi mio fratello Antonio, per la sua determinazione nell’affrontare e vincere le difficoltà che si opponevano alla realizzazione dei nostri progetti. (…) Ciò mi ha consentito di trasformare la piccola azienda vitivinicola familiare in un’azienda unanimemente riconosciuta tra le più importanti nel panorama nazionale. Sono sempre stato profondamente legato a questo mondo. Anche da studente universitario a Roma, cercavo di conciliare lo studio con l’impegno di vendere il vino dell’azienda di famiglia ai vari ristoranti, enoteche e torrefazioni romane. Questa esperienza è stata fondamentale per la mia formazione. Ho fatto molte conoscenze importanti e ho seguito corsi di degustazione e seminari che mi hanno messo in contatto con il movimento che c’era intorno al mondo del vino italiano a metà degli anni ‘60. C’era tanta ricerca dietro ad ogni etichetta di successo. Sentivo parlare già allora di terroir, zonazione e viticoltura di precisione. Studi che partivano dalla piantumazione, dalla scelta del portinnesto e passavano alla corretta gestione della chioma e alla scelta della data di raccolta ottimale. Finiti gli studi tornai a Cirò con l’idea ben chiara di continuare a lavorare nell’attività di famiglia, era il 1971. La situazione che trovai in paese era in netto contrasto con quanto avveniva nel resto d’Italia. Il settore della vitivinicoltura era in crisi profonda, determinata in massima parte dall’avvento delle cantine sociali alla fine degli anni ‘50. Molti viticoltori trovavano più conveniente conferire le uve alle cantine che vinificare ed impegnarsi a vendere il loro vino. I vigneti del Cirotano, da sempre allevati ad alberello, vennero convertiti dalla maggior parte dei viticoltori al sistema detto “a palmetta” (cordone speronato verticale) più adatto ad una produzione che privilegiava la quantità, trascurando la qualità. Il vino prodotto, salvo rare eccezioni, veniva venduto in grandi quantità alle cantine del Nord che lo usavano come vino da taglio. Questa situazione di mercato andò bene fino al riconoscimento delle denominazioni di origine controllata per i vini italiani (anche il Cirò ottenne il riconoscimento nel 1969).

Con le Doc vennero introdotte regole e controlli severi tali da rendere molto difficile la mistificazione dei vini. Le cantine del territorio, non avendo fatto investimenti in tecnologia ed impianti di imbottigliamento, non essendo attrezzate per la vendita del vino in bottiglia, andarono velocemente in crisi, come tutto il settore vitivinicolo locale, tantoché molti viticoltori iniziarono ad abbandonare le vigne. Io rientrai da Roma a Cirò quando la crisi del settore era massima; poteva sembrare quindi naturale per me ripensare ai miei progetti lavorativi, aspettare tempi migliori, invece no, mi misi subito al lavoro, con calma e dedizione, convinto di poter trovare le soluzioni adatte a ridare al nostro vino la reputazione che aveva sempre avuto sin dall’antichità e soprattutto non riuscivo a dimenticare quel grappolo di uva Gaglioppo che tanto avevo ammirato da bambino. Riponevo così tanta fiducia nel Gaglioppo ed ero convinto che non potesse deludermi; il principe nero della viticoltura calabrese, uno dei vitigni più antichi d’Italia. Per raggiungere lo scopo sono ritornato al passato, agli insegnamenti di mio padre, ai sistemi colturali tradizionali, da sempre utilizzati dai nostri anziani viticoltori: grande cura nella gestione del suolo e conduzione della vigna, potatura corta ad alberello, corretta gestione della chioma e vendemmia differenziata. I risultati non tardarono ad arrivare. Il miglioramento qualitativo dei nostri vini fu importante già dalla prima annata, fino a portare sul mercato nel 1983, il Duca Sanfelice, Riserva di Cirò Doc che ha riscosso tanto successo di pubblico e dalla stampa nazionale del settore.

Altra svolta importante per la crescita aziendale avvenne nel 1986 con l’acquisto dell’azienda Critone, oggi “Tenuta Arcidiaconato”, di 40 Ha in agro di Strongoli. In quest’azienda volli sperimentare, per la prima volta in Calabria, l’adattamento dei vitigni internazionali che tanto successo riscuotevano in tante regioni italiane. Tutto il terreno venne trasformato a vigneto, scelsi come vitigni lo Chardonnay, il Sauvignon blanc, il Cabernet Sauvignon e il Cabernet Franc. L’esperienza fu molto positiva, i vini ottenuti di stile internazionale contribuirono in modo rilevante a far crescere l’immagine dell’azienda e del territorio e ad aprire la strada all’ingresso in canali di vendita da cui eravamo rimasti esclusi fino ad allora. Fatta questa esperienza con i vitigni internazionali, il pensiero tornò alle tante varietà di uve anticamente presenti nei nostri vigneti con la volontà di capire perché erano state messe da parte. Da questo bisogno di conoscenza è nata, nel 1993, la prima vigna sperimentale dell’azienda: ho innestato in un vigneto che stavamo impiantando a Cirò, alcuni filari di Magliocco, Arvino e Pecorello, in aggiunta al già recuperato Mantonico bianco, impiantato in precedenza nella tenuta di Strongoli. I risultati ottenuti dalle prime vinificazioni sono stati entusiasmanti. I vini ottenuti mi regalarono tanta speranza e fecero nascere in me la convinzione che dai nostri vitigni autoctoni avremmo potuto ottenere vini unici, espressione del nostro territorio, lontani dall’omologazione.

La realizzazione di questa idea si concretizzò nel 1997 con l’acquisto della Tenuta Rosaneti in agro di Rocca di Neto/Casabona, 240 ettari di terreno interamente da trasformare; si trattava di un progetto molto ambizioso e importante dal punto di vista finanziario, non era quindi consentito commettere errori. Per la realizzazione di questo progetto cercai la consulenza di Donato Lanati, giovane enologo, già molto affermato a livello nazionale, conosciuto ed apprezzato sia per la qualità dei vini delle aziende da lui seguite, sia per il suo approccio del tutto scientifico a questo settore. L’incontro fu molto proficuo e quando esposi il mio programma che consisteva nell’ampliare la coltivazione delle cultivar già in produzione ed allargare l’orizzonte ai vitigni autoctoni abbiamo condiviso da subito il progetto. (…) Motivati dai risultati ottenuti da questi vitigni e convinti di avere intrapreso un percorso estremamente importante per il futuro, decido di ampliare i nostri interessi ad altre delle numerose varietà presenti sul territorio regionale. È nato così nel 1999 un campo sperimentale di 25 presunti cloni di varietà autoctone all’interno del quale per 5 anni si effettuarono micro-vinificazioni e campionamenti aziendali comparativi. Parallelamente a questo campo decidemmo con il professore Scienza, di creare un campo di viti autofecondate di Gaglioppo, Magliocco ed Arvino, i vitigni autoctoni a bacca rossa più importanti della Calabria, per aumentare la variabilità genetica degli stessi. Noi iniziammo questo procedimento nel 1998, le piantine ottenute vennero messe a dimora nel 2001 e una volta in produzione sono state tenute in stretta osservazione sia dal punto di vista vegetativo che produttivo. Nel 2008, dopo approfonditi studi, sono stati selezionati 42 genotipi di queste varietà e messi a dimora in un campo sperimentale a Strongoli nell’azienda Critone in numero di 40 per genotipo e sono ancora oggi oggetto di studi. (…)

Le migliori piante selezionate, circa 200, vennero innestate nel 2003 su 2800 viti selvatiche nel campo di collezione a Rosaneti, quello che sarebbe diventato il nostro ”Giardino varietale“, dalla caratteristica forma a spirale e su cui sono stati effettuati importanti studi genetici, utilizzando marcatori del Dna. (…) Il lavoro di ricerca è proseguito poi nel 2010. In un campo a Strongoli ho messo a dimora 20 portinnesti diversi compresi quelli di nuova generazione selezionati. Il campo contiene 20 filari di 100 piantine per ogni portinnesto. Nel 2011 questi portinnesti sono stati innestati con un solo clone di Gaglioppo (Lib 80). Le uve ottenute sono state vinificate e i vini sono stati accuratamente analizzati e degustati, ottenendo interessanti indicazioni sull’idoneità dei singoli portainnesti con il Gaglioppo; i risultati ottenuti sono stati messi a disposizione dei viticoltori regionali. Il passo successivo alla sperimentazione ci condusse quindi ad un tassello mancante: la selezione clonale dei vitigni a bacca rossa più importante per la nostra Azienda, il Gaglioppo e il Magliocco, e il bianco Pecorello. La Calabria non possedeva nessun clone iscritto nel Registro Nazionale delle varietà di uve coltivate, in netto contrasto con quanto avveniva nel resto d’Italia, dove veniva svolto un intenso lavoro di selezione clonale ed erano centinaia i cloni iscritti nel Registro Nazionale. Dopo un lungo percorso di lavoro, sono stati selezionati e registrati nel Registro Nazionale della Vite, 4 cloni di Gaglioppo, 4 di Magliocco e 1 di Pecorello, notizia pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 04.06.2014. Il materiale ottenuto da questo lavoro è stato donato ai vivai Rauscedo di Conegliano Veneto e messo a disposizione dei viticoltori calabresi.

Contemporaneamente all’iscrizione dei cloni dei vitigni suddetti, abbiamo provveduto all’iscrizione nel Registro delle varietà di vite il Mantonico bianco col numero 494 apparso sulla Gazzetta Ufficiale del 06.11.2014. Successivamente a questo studio la ricerca è proseguita allargando lo sguardo ad altre varietà presenti nell’elenco dei 28 vitigni antichi con notevoli potenzialità enologiche. L’attenzione si è soffermata sul Castiglione (sinonimo della Marchesana) e sul Toccarino, di queste due varietà ho impiantato un campo sperimentale a Rosaneti seguendo varie linee di ricerca ancora attive. Infine, ho intrapreso, ancora in collaborazione con il Cnr di Torino, un’attività di risanamento da virus di alcuni cloni di cultivar autoctone calabresi. Ho creato un campo sperimentale di Gaglioppo, Magliocco, Arvino, Guarnaccia, Greco Bianco, Mantonico, Toccarino e Castiglione risanato da virus con il metodo della moltiplicazione in vitro. Le viti risanate manifestano alcune differenze sostanziali da quelle originali, sia dal punto di vista vegetativo e sia qualitativo delle uve, per cui sono ancora oggetto di valutazioni sperimentali.Questo studio fatto sulla viticoltura calabrese ha avuto un notevole impatto sulle potenzialità enologiche dei nostri vitigni. (…) Oltre alla ricerca sulla viticoltura e, dunque sulla ricaduta di questa ricerca sui vini, mi sono impegnato negli anni a seguire processi di sviluppo sostenibili sia in cantina che nell’azienda agricola. Modelli di sostenibilità non solo ambientale, ma anche economica e sociale che ci hanno consentito di ottenere la certificazione di sostenibilità “Equalitas” nel 2021. L’azienda limita l’utilizzo della chimica abbracciando il metodo della lotta integrata, e adotta concimazioni a base di digestato e la tecnica del sovescio. In cantina quasi metà del fabbisogno energetico deriva da un vasto impianto fotovoltaico e dall’impiego di macchinari all’avanguardia. Sul fronte economico, l’azienda assicura reddito e lavoro ai propri dipendenti, assicura loro un ambiente di lavoro sano e creativo, contribuendo alla loro crescita professionale e culturale. Sul piano sociale, le conoscenze acquisite con anni di sperimentazione e ricerca ci hanno portato ad organizzare sul territorio manifestazioni, eventi e convegni vari, tutte forme strategiche di comunicazione che rendono fruibili i risultati delle indagini condotte nei nostri vigneti, soprattutto sulle potenzialità degli autoctoni calabresi. Sono otto le opere divulgative che a partire dal 2008 abbiamo pubblicato, dimostrando a tutta la comunità vitivinicola calabrese e nazionale i risultati di questo ampio lavoro di ricerca. Poi, un’intuizione che mi inorgoglisce, “il Patto Librandi“: un protocollo di lavoro diretto a 60 viticoltori associati e riuniti nel 2008, allo scopo di modernizzare metodi di coltivazione arcaici e tradizionali e indirizzarli verso nuovi modelli di viticoltura di precisione. Attraverso l’Associazione “I Vignaioli del Cirò” si lavora a incentivare la qualità dell’uva e del vino prodotto nel territorio, valorizzare le produzioni viticole, promuovere la formazione e l’aggiornamento per sviluppare una moderna imprenditorialità, organizzare degustazioni e momenti culturali qualificati, studi e ricerche per perseguire gli scopi sociali. E ancora in tema di promozione e per mettere in rete la ricchezza del nostro territorio, nel 2022, insieme ad altre eccellenze calabresi è stata creata l’associazione SUDHERITAGE, di cui sono presidente, con lo scopo di diffondere e promuovere l’equazione impresa-cultura. Tra gli ultimi progetti a cui mi sono dedicato c’è infine Vi.Te.S, il nostro Museo della vite e del vino. Otto sale organizzate in un percorso cronologico allestite con pannelli museali e con reperti e attrezzature del mondo contadino che raccontano testimonianze di un mondo arcaico ma di grande ingegno, con il suo antico palmento. Nel museo c’è un innovativo angolo, la stanza dei profumi dove si può sperimentare il riconoscimento degli aromi del vino, un’esperienza sensoriale che si trasforma in un curioso e interattivo laboratorio olfattivo. (…)