Laddove si produce vino, 407 i Comuni associati alle “Città del vino”, ci sono più laureati e diplomati e soprattutto più lavoro: nei borghi e nelle comunità del vino il tasso di disoccupazione è di circa 3 punti più basso della media nazionale.
E' quanto emerge da “Le Città del Vino ai raggi X, “Libro Bianco” su sviluppo e prospettive dei Comuni a vocazione vinicola presentato al Campidoglio, insieme al presidente del Friuli Debora Serracchiani, alla cerimonia del trentennale dell'associazione. Uno spaccato rurale di società italiana, dover risiede l'11,7% della popolazione nazionale e dove si consuma meno territorio, dove spesso la cementificazione trova un argine nella vigna.
A spingere l'occupazione, a detta dei 407 sindaci, anche l'enoturismo. Tra il 2007 e il 2015 i servizi e le strutture turistiche sono in la crescita esponenziale: più 99% contro il 28% del dato italiano “Siamo un modello per ripensare il Paese”, ha sottolineato il presidente delle Città del vino Floriano Zambon, sindaco di Conegliano. I più importanti Comuni italiani a vocazione vitivinicola sono tutti Città del Vino: Barolo, Barbaresco, Marsala, Montalcino, Montepulciano, Scansano, Conegliano, Valdobbiadene, Pantelleria, solo per citare i più noti. “Nei luoghi con una forte identità – ha aggiunto Zambon – si vive meglio, c'è più lavoro, la qualità della vita è più alta. La vite e il vino sono due elementi attorno ai quali si può ripensare una comunità”. E all'indomani del primato italiano di nazione più sana al mondo nella classifica 'Bloomberg Global Health Index' su 163 Paesi, le Città del vino si qualificano come luoghi del buon bere e buon mangiare con un ricco paniere di qualità certificata (291 tra Dop, Igp e Stg) e tradizionale (circa 5.000 piatti e Pat iscritti all'Elenco Nazionale del Mipaaf).
C.d.G.