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Scenari

Mercurio, pesca illegale, nessuna certificazione: il lato “oscuro” del tonno rosso

30 Maggio 2016
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di Manuela Zanni

Che il monito di non mangiare tonno arrivi quasi al termine del periodo dedicato a questo pesce e, soprattutto, giunga da una persona vegana, potrebbe sembrare, per ovvi motivi, di parte, oltre che anacronistico. 

Nella realtà, a supporto dei motivi etici che muovono la maggioranza delle persone che hanno scelto di eliminare dalla propria alimentazione ingredienti di origine animale, a cominciare da chi scrive, ce ne sono altri che riguardano la salute delle persone e del pianeta che hanno molto più “appeal” anche su chi non è vegetariano o vegano, né ha intenzione di diventarlo.
Il tonno in scatola è uno degli alimenti più comuni nelle nostre dispense degli italiani considerato immancabile nella cucina di tutti i giorni. Il suo consumo annuo in Italia supera le 140 mila tonnellate a fronte di una produzione nazionale pari a 85 mila tonnellate di scatolette. Bisogna fermarsi un attimo e cominciare a chiedersi come sia possibile che un prodotto industriale che sfrutta una risorsa ittica sull’orlo dell’estinzione costi così poco.
A dispetto della grande abbondanza in cui lo troviamo sugli scaffali dei supermercati sotto le “mentite spoglie” di tonde scatolette variopinte, il tonno, in particolare quello rosso, è un animale a rischio di estinzione il cui consumo su larga scala ha numerose ripercussioni negative a catena: ci sono perciò vari motivi validi per scegliere di non metterlo in tavola.

Tanto per cominciare, come è risaputo, la quasi totalità della fauna ittica assorbe mercurio, ma questo è maggiormente preoccupante nel caso di pesci di grossa taglia e più longevi, per il semplice fatto che hanno più tempo per accumulare la sostanza nel proprio corpo. Il mercurio è notoriamente tossico e negli uomini questo può causare disturbi neurologici di vario genere quali perdita di memoria, danni cerebrali, aborti spontanei, solo per citarne alcuni. Ovviamente se consumato in piccole quantità questi tipi di problemi non saranno immediati, ma si possono  avere disturbi quali l’affaticamento e la perdita di memoria  piuttosto comuni legati al consumo di pesce  al punto che è stato coniato appositamente il  termine medico “fish fog” traducibile in “annebbiamento da pesce”.
Va segnalato, inoltre, che la pesca intensiva del tonno impoverisce anche la fauna circostante dal momento che molto spesso nelle reti incappano accidentalmente anche balene e delfini, il cui destino non è quello di essere rimessi in libertà, bensì quello ben più triste di venire massacrati in quanto specie predatrici di tonni. La pressione di pesca eccessiva, inoltre, non lascia il tempo agli stock di pesce di rigenerarsi portandoli inevitabilmente verso l’estinzione.

Un ulteriore motivo che va a supporto del consiglio di non mangiare tonno risiede, inoltre, nel fatto che nella maggior parte dei casi, il tonno non venga consumato nel luogo in cui viene catturato. Il pescato, infatti, viene dapprima congelato, poi venduto, trattato e poi spedito. Tutti questi passaggi aumentano a dismisura la nostra impronta ecologica ogni volta che decidiamo di consumarlo poiché  il costo di una piccola scatoletta dovrebbe, in realtà, includere anche quello dell’energia utilizzata, dell’inquinamento prodotto, dei  trasporti, del depauperamento della fauna marina, nonché dell’indiscutibile preziosità biologica del prodotto.
Inoltre gli allevamenti per l’ingrassamento dei tonni dove questi vengono nutriti con pesce catturato appositamente per aumentarne il peso e quindi il valore, producono inquinamento che altera l’equilibrio marino e comportano lo sfruttamento di altre specie (circa chili kg di alici per 1 chilo di tonno).
Come se non bastasse, in Italia la pesca del tonno rosso è diffusa soprattutto al largo di Sicilia, Sardegna, Calabria e Liguria. Buona parte del tonno consumato a livello mondiale viene però pescato molto lontano dal nostro Mediterraneo e commercializzato a prezzi concorrenziali dall’Australia o dal Giappone per essere utilizzato in quantità enormi nel sushi. Ne consegue che l’impatto della pesca “legale”, che resta comunque troppo intensiva, è aggravato da quella illegale. Basti pensare che la stagione di pesca viene allungata fino a 4 mesi rispetto ai tempi naturali di cattura, (maggio e giugno) il che stravolge i tempi di crescita e riproduzione dei pesci.

Non a caso Greenpeace, nella sua campagna a tutela degli oceani, ha dedicato un breve video al tonno in cui la domanda è “Sai che cosa c’è nella tua scatoletta?”  La risposta risiede non solo nelle tracce di animali che non dovrebbero esserci, ma anche nella rottura degli  equilibri fragili di interi ecosistemi la cui sopravvivenza viene minacciata il che rende  impossibile considerare sostenibile al giorno d’oggi l'industria del tonno.
Per questo motivo sin dal 2008 il Wwf, in occasione dell’incontro della Commissione Internazionale per la Conservazione del Tonno Atlantico, aveva proposto di sospendere per un periodo le autorizzazioni alla pesca del tonno rosso in modo da evitare un disastroso collasso biologico ed economico  pur restando favorevole nei confronti di un utilizzo sostenibile delle risorse ittiche in appoggio dei pescatori che agivano in accordo con i limiti imposti dalla legge.
Ultimamente sembra che qualcosa si stia muovendo e che sempre più produttori, forse sensibilizzati da un calo della domanda, comincino a muovere qualche passo per far sì che il tonno utilizzato sia più tracciabile e possibilmente catturato con tecniche di pesca più accettabili anche se sono ancora poche le aziende produttrici di tonno in scatola che hanno fatto reali passi verso una maggiore sostenibilità.

Ne deriva che il consumo di un prodotto così delicato, richiede consapevolezza e informazione che sono le uniche armi che abbiamo per garantire la sostenibilità e la qualità delle nostre scelte. Così, se proprio non ce la facciamo a rinunciare ad una scatoletta di tonno, cerchiamo di acquistare marche che stanno cercando di rendere maggiormente sostenibile la pesca e loro produzione come l’uso di lenze con pochi ami a fronte di quote di pesca ridotte e determinate a livello mondiale tenendo conto delle dimensioni degli stock attuali. I tempi sono maturi per una reale presa di coscienza del problema perché non è mai troppo tardi per cambiare le proprie abitudini alimentari facendo un passo verso la salvezza del pianeta.