Quando parliamo di Lambrusco ci sarebbe una cosa da sapere o da fare, prima di dire: spogliarsi da ogni pregiudizio che gli attribuisce etichette di ogni tipo. Parliamo di uno dei vini italiani tra i più venduti, tutelato da un Consorzio che rappresenta 70 soci e sei denominazioni tra Modena e Reggio Emilia. Sedicimila ettari vitati nelle due province, di cui circa diecimila dedicati a Lambrusco. Cinquanta milioni di bottiglie Doc, a cui aggiungere centodieci milioni di Igt. Sono numeri. Tanti. Riconoscere questa importanza è già un punto di partenza. Ma al Taormina Gourmet on Tour, durante la masterclass dedicata al “vino dell’allegria”, come spesso si dice e non in un’accezione negativa, il giornalista Daniele Cernilli (alias DoctorWine) ha aggiunto qualche informazione in più che vale la pena riportare. Il vino Lambrusco è un vero universo di colori, di stili e territori. “Riflette differenze di suoli e denominazioni e in particolare di metodiche produttive. Può essere un vino spumante ma anche un frizzante (fino a tre atmosfere di pressione interne alla bottiglia parliamo di vino frizzante). In Italia si producono 900 milioni circa di spumanti e 47 milioni sono Metodo Classico, il resto è Metodo Martinotti. In questa partita il Lambrusco gioca un ruolo decisivo, secondo al Prosecco. Un dato che ci permette di dare più attenzione al metodo Charmat, che in Italia conta e come”, dice Cernilli.
Ma si aggiunge altro. “Si parli pure di Lambruschi, perché siamo davanti a dodici vitigni e a sei denominazioni”, aggiunge il direttore del Consorzio Giacomo Savorini, durante la masterclass. Il mondo dei Lambruschi è insomma davvero un bel divertimento, un districarsi tra colori, sfumature, tecniche e tipologie, tra metodi classici, Martinotti, rifermentati in bottiglia o ancestrali. “Uno dei vini più antichi – continua Savorini – ma anche uno dei più moderni. Per alcuni “pop” o forse popolare perché è amato da diversi popoli al mondo. Sulla strada del successo in passato si è un po’ abusato del trend che lo ha portato ovunque nel mondo, ma adesso una nuova generazione sta ridefinendo la storia del vino Lambrusco per accrescerne il valore”.
A seguire la masterclass anche il presidente del consorzio Brunello di Montalcino Fabrizio Bindocci. “Chi declassa il Lambrusco, sbaglia – dice con tono assertivo Cernilli – Mentre spiega la differenza degustativa e riconoscibile al calice tra il Lambrusco di Sorbara, prodotto a Modena, al confine con Reggio Emilia, chiaro e giocato sull’acidità, più agile e aspro, e quello prodotto invece nella provincia di Modena, vicino a Maranello, dove il Lambrusco si fa più scuro, con tannini che diventano più importanti, ma che sono bilanciati dall’acidità. Oltre a rivelare grandi differenze, al calice i dieci vini mostrano uno spaccato produttivo che, seppur con le dovute differenze tra giovani vignaioli e cooperative, lasciano intuire l’identità territoriale e dei vitigni. Per ultimo vale la pena sottolineare un altro dato: il 95 per cento dell’uva utilizzata per produrre Lambrusco arriva da cooperative sociali. Esempio questo di grande capacità di fare squadra.