Ci sono poche certezze a cui l’uomo può affidarsi e una di queste è il cambiamento: nulla resta mai come prima, nel tempo. Quel tempo che non si può né vendere né comprare e che ci dà la garanzia delle cose. E aiuta anche a comprendere se un vino, che per sua stessa natura evolve come materia viva, è buono ed invecchia ancora meglio, rivelandosi “un grande vino“. L’idea di Etna dieci anni fa, la degustazione alla cieca di un’annata etnea che mette insieme vini di varie aziende del vulcano, nasce proprio con quest’approccio curioso pensato dall’enologo Salvo Foti, inizialmente per studiare tra enologi le capacità del vino etneo e poi per favorire il confronto costruttivo. “Durante questi primi anni di degustazioni abbiamo fatto belle scoperte, aperto vini che anche dopo vent’anni hanno mostrato una grande tenuta”. Se ne è parlato al Taormina Gourmet on tour, l’evento organizzato da Cronache di Gusto presso l’Hotel La Torre di Mondello. Sul tavolo sono stati disposti quattordici calici per degustare alla cieca l’annata 2024.
Prima di dire qualcosa sull’annata e sulla tenuta dei vini, vale la pena soffermarsi un po’ sul territorio sull’Etna, che per gli etnei è ‘a muntagna. Per quanto la storia evolutiva dei vini sia ancora in parte tutta da scoprire rispetto ad altri grandi terroir italiani, l’Etna è un territorio unico al mondo per via delle sue caratteristiche, per le diversificazioni, per la biodiversità, tutte variabili queste ultime che consentono ai viticoltori perfino di gestire annate complesse e in balia ormai dei cambiamenti climatici, sempre più imprevedibili. La conoscenza dell’enologo etneo che racconta l’Etna durante una masterclass è dettagliata e ricchissima. Del resto Foti è uno che quel territorio lo conosce come le sue tasche. Ma il tempo durante una degustazione è tiranno e allora bisogna sintetizzare o dare solo un’idea delle cose. Si può cominciare dal dire che il vulcano attivo è coltivato in più versanti ad altitudini che spaziano dai 400 metri nel versante Sud Est fino ai 1.200 nel versante Nord. I suoli cambiamo ad ogni passo per le diverse esposizioni, per le stratificazioni e per la composizione. I suoli balsaltici – spiega l’enologo – sono composti da “ripiddi”, quei lapilli lavici che durante le eruzioni piovono dal cielo, rigenerando il suolo. La biodiversità è enorme con la presenza di numerose piante selvatiche indigene, tra le quali è emblematica la ginestra. Ma se si parla di emblema, allora non si può non fare riferimento all’alberello etneo, adagiato su un palo di castagno come tutore. Sull’Etna non è difficile trovare vigneti centenari con viti pre-fillossera di Carricante e Nerello Mascalese principalmente, ma anche di altre varietà indigene minori. L’alberello stesso ha contribuito alla costruzione del paesaggio spingendo l’uomo alla creazione di muretti a secco che delineano i profili della montagna. Ed insieme all’alberello è stato l’uomo a contribuire al disegno paesaggistico, grazie ad una maestranza di professionisti della vite. Ma l’Etna è anche storia di palmenti, testimonianza della cultura vinicola e contadina. A fine ‘800 in quel territorio si producevano circa cento milioni di litri di vino, che partiva sfuso da Riposto. Adesso però si scrive di una nuova Etna del vino che, dopo i primi imbottigliamenti e la riscoperta di una qualità fuori dal comune, si interroga sul futuro e su quel tempo, che come spesso di dice è galantuomo. “Oggi si dovrebbe rivedere il disciplinare e parlare non più di tipologie ma di luoghi. Se vogliamo un Etna Rosso in stile Borgogna, per intenderci, bisognerà pensare ai luoghi più adatti per l’Etna Rosso. E la stessa cosa vale per i bianchi”, dice Foti.
La masterclass
Condotta da Federico Latteri, si focalizza sull’annata è la 2014. “Non è stata in Italia una grande annata – dice l’esperto degustatore – ma sull’Etna non può dirsi la stessa cosa. L’Etna insomma ha fatto eccezione. Maturità ottimale e ciclo vegetativo regolare, forse un po’ di calore in più del solito, in alcune zone”. Si passa alla degustazione alla cieca con tre bianchi e undici rossi. In mezzo due “intrusi”, un po’ per gioco un po’ per comprendere il profilo tipico etneo. In generale, nessun vino degustato si presenta stanco. E nei rossi si riscontra un livello omogeneo di evoluzione. I vini mostrano di avere ancora qualcosa da dire nel tempo. I rossi al palato condividono una trama tannica più levigata ma ancora presente. I bianchi un po’ diversi al colore rivelano quell’acidità che mantiene ancora integra la verticalità dei vini.