di Elena Mancuso
Il latte biologico fa sempre più proseliti tra i consumatori e allarga le sue fette di mercato.
“Il settore è interessante ed in espansione, stiamo mettendo a punto un progetto di filiera cercando di organizzare i produttori in collaborazione con partner cooperativi e non, coinvolgendo allevatori di diverse zone del paese. Obiettivo? Dare valore aggiunto al prodotto e più opportunità a realtà aziendali di piccole e medie dimensioni”, dice il presidente della Cia Emilia-Romagna, Antonio Dosi, in apertura del convegno “Il latte biologico italiano: analisi del contesto e indicazioni per la crescita”, iniziativa promossa da Cia e Anabio (l'associazione degli allevatori biologici della Cia) in corso a Bologna, a cui ha fatto seguito una tavola rotonda su quali strategie adottare per incrementare produzione e consumo di 'biolatte'. Secondo i dati del Sinab (Sistema nazionale di informazione sull'agricoltura biologica del Ministero per le Politiche agricole) il patrimonio nazionale dei bovini da latte bio raggiunge oggi circa le 45 mila unità, pari al 20% di tutto il bestiame bovino presente negli allevamenti biologici (285 mila).
Riguardo alla produzione di latte, la stima elaborata da Ismea parla, per il 2014, di un quantitativo totale superiore ai 300 milioni di litri (pari al 2.7% del totale del latte prodotto in Italia) per un valore alla produzione di 158 milioni di euro (pari al 3.5% della PPB nazionale, ovvero il valore della produzione ai prezzi di base) con un premium price riconosciuto alla stalla del 28% superiore a quello destinato al latte convenzionale. In Emilia-Romagna sono 280 le aziende zootecniche biologiche con bovini è più di 50 miste, ovvero con bovini e suini. “Un contesto di mercato che sottolinea una netta controtendenza rispetto alla situazione di grave difficoltà in cui versa il settore lattiero caseario convenzionale – ha detto Federico Marchini, presidente nazionale Anabio – rinforzata sul fronte dei consumi da una crescita, nel primo semestre 2015, della spesa di oltre il 4%; cifra destinata a crescere visto il trend positivo degli acquisti anche nel secondo semestre”. “La conversione da convenzionale a biologico pone tuttavia alcuni problemi ed incognite – ha spiegato Giacomo Pirlo del Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria – ovvero un forte impegno per l'investimento iniziale, l'adeguamento del carico di bestiame secondo i limiti imposti dal regolamento, la modifica radicale del piano colturale e la necessità di valorizzare il prodotto”.
Gli allevatori hanno poi a che fare con i costi più alti per produrre latte biologico. “Negli ultimi anni però, soprattutto con la crisi dei prezzi del settore lattiero caseario europeo ed italiano nel suo complesso iniziata nel 2014, la domanda per i prodotti biologici ha continuato a crescere a ritmi che l'offerta non è riuscita a coprire – ha spiegato Alberto Menghi del Crpa, Centro ricerche produzioni animali – e si è generato un differenziale di prezzi tra latte biologico e convenzionale interessante nell'ordine del 50%”. “Abbiamo un biologico che ci pone tra le prime regioni in Italia come produzioni biologiche – è intervenuta l'assessore regionale all'Agricoltura Simona Caselli – e la qualità del latte bio sottolinea la capacità di fare qualità nella nostra regione. Ricordo che il 30% delle risorse erogate dalla Regione attraverso il Psr, piano di sviluppo rurale, è stato intercettato da imprese biologiche”. Il razionamento delle bovine allevate biologicamente può essere svolto in modo estensivo con sfruttamento principalmente del pascolo ed uno affine al sistema fino ad oggi impiegato. Il pascolo è supportato dai vari foraggi via via disponibili nel corso dell'anno, tenuto conto che almeno il 60% della razione deve essere costituito da foraggi freschi, affienati od insilati; è tuttavia vietato l'impiego dei soli insilati quale apporto esclusivo di foraggio. Per quanto riguarda le bovine da latte, è in comunque possibile una riduzione al 50% per un periodo massimo di tre mesi all'inizio della lattazione.
Il pascolamento deve avvenire in modo da non depauperare il cotico erboso, quindi la densità degli animali deve essere contenuta per evitare che il suolo diventi troppo fangoso. In ogni caso sarà cura dell'allevatore scegliere per i pascoli specie vegetali con particolare riguardo per la loro precocità e produttività e sfruttare le tecniche di pascolamento razionato o a rotazione. Il pascolo rappresenta comunque un sistema di razionamento variabile, poiché, pur contribuendo a coprire una buona parte dei fabbisogni in sostanza secca degli animali, è anche funzione della quantità e qualità del foraggio ingerito e del sistema di pascolo impiegato, per cui si renderà necessario avere in primo luogo foraggi d'ottima qualità, da integrare comunque con fieno e mangime.
Le tecniche di fienagione sono dunque importanti al fine di ottenere alimenti d'elevato potere nutritivo, che favoriscano l'ingestione volontaria di sostanza secca, riducendo al contempo le perdite in campo: con la fienagione in due tempi (raccolta in campo del foraggio pre-appassito e successivo completamento dell'essiccazione in fienile) è possibile usufruire di fieni d'ottima qualità, con un più elevato contenuto in Beta-carotene e l'assenza di micotossine.
Per quanto riguarda il razionamento con l'unifeed, simile a quello convenzionale, bisogna tener presente che in questo tipo d'allevamento tutti i concentrati introdotti in razione devono essere di tipo biologico e possibilmente prodotti nell'ambito dell'azienda stessa: il ricorso a mangimi convenzionali è consentito per un periodo transitorio fino al 24/08/2002 e per una quota non superiore al 10% della sostanza secca della razione ed è fatto divieto d'impiegare farine d'estrazione. (prodotti non foraggeri utilizzabili per la razione o la preparazione di mangimi)