Nostra intervista al direttore Luca Bianchi. Luci ed ombre e il direttore invita alla prudenza: “L'agroalimentare è un settore importante, ma a patto che non sia vissuto con una prospettiva antindustriale alla quale un pezzo del Mezzogiorno ha aderito
(Luca Bianchi)
di Antonio Giordano
Il settore agroalimentare come principale fonte di produzione di valore aggiunto nel Mezzogiorno?
Una tesi che affascina e di cui si parla molto spesso. Ma che per essere realizzata ha bisogno di un sistema capace di funzionare, così come per ogni settore produttivo. A partire dalla logistica e dalle industrie (anche in questo campo) che ancora devono svilupparsi o, in alcuni casi, nascere. Per questo Luca Bianchi, direttore dello Svimez, invita alla prudenza nel caso di certe suggestioni. “E’ un settore importante”, spiega, ma a patto che non sia vissuto con una prospettiva “antindustriale alla quale un pezzo del Mezzogiorno ha aderito, abbracciando una immagine bucolica di un ritorno alla terra che, se vista in contrapposizione ad un processo di modernizzazione, è fondamentalmente sbagliato”. Nell’ultimo rapporto Svimez l’agroalimentare viene fotografato come un comparto dove il valore aggiunto nel settore agricolo è diminuito, nel 2018, al Sud del –2,7%, dopo la stagnazione dell’anno precedente (0,2%), che a sua volta seguiva la flessione registrata nel 2016 (– 3,3%). Tale calo è imputabile non solo ai fattori climatici, ma anche alla difficile situazione dell’olivicoltura, specie in Puglia, e alla diminuzione della produzione di agrumi. Nel Centro-Nord la produzione agricola è invece aumentata (+3,3%). Nel 2018 in Italia gli occupati del settore agricolo erano pari a 917 mila unità, di cui 528 mila, il 57,5%, localizzati nel Mezzogiorno. La buona performance dell’industria alimentare è testimoniata dal trend delle esportazioni del settore che negli ultimi anni sono in costante aumento. Questo elemento può rappresentare un fattore trainante per l’agricoltura meridionale, anche se nel 2018 le esportazioni di prodotti agroalimentari provenienti dal Mezzogiorno sono state pari a 7,1 miliardi, solo il 17% dell’export agroalimentare italiano.
La crescita passa soprattutto dalla capacità di lavorare e trasformare i prodotti
Leggendo i numeri emerge un buon risultato delle esportazioni che caratterizzano il settore agroalimentare del Mezzogiorno, ma che ancora risulta poco incisivo alla creazione di valore aggiunto (ovvero di ricchezza) per l’intera società. Cosa manca? L’industria, ovvero la capacità di trasformare e lavorare le materie prime anche ottime che il Sud produce. “Se vediamo il grosso dell’esportazioni e del valore aggiunto realizzato dal settore agroindustriale questo rimane prevalentemente al Nord – spiega Bianchi – anche spesso con materie prime del sud. La vera fase in cui si crea il valore aggiunto è la fase della trasformazione e direi ancora di più tutte le fasi di post produzione, che vuole dire ricerca marketing, trasporti e logistica. Questo è un tema importante in cui ancora il mezzogiorno è deficitario.
Il valore dell’export
Tra il 2007 e il 2018 l’evoluzione delle esportazioni agroalimentari dell’Unione europea a 15 è stata molto intensa, con un incremento a prezzi correnti del 57%. L’aumento è stato particolarmente rilevante nel caso dell’Olanda le cui esportazioni sono passate da 51,8 a 87,4 miliardi di euro (+69%), della Spagna (da 25 a 47 miliardi di euro; +87%), dell’Italia che ha incrementato il valore delle esportazioni di ben il 71% (da 23,7 a 40,5 miliardi di euro). Il Mezzogiorno, nonostante le sue potenzialità produttive e la ricchezza di specialità alimentari, esporta meno dell’Austria e poco più della Svezia e della Grecia. Inoltre, la buona dinamica che ha caratterizzato le esportazioni meridionali è stata comunque inferiore a quella del Centro-Nord, non consentendo il recupero del divario esistente tra le due parti del Paese. In Italia la componente che ha presentato la migliore performance è stata quella delle bevande (vino, in particolare) che è aumentata dell’84%.
Un brand e la logistica ancora carente
“Il made in Italy e il Made in sud – spiega Bianchi – hanno delle potenzialità di crescita ancora molto forti nei mercati esteri, però i prodotti bisogna portarceli”. E qui si apre il problema della logistica con alcune delle aree del Mezzogiorno decisamente tagliate fuori e molto distanti dai mercati più importanti. “Dopo un rafforzamento dell’industria di trasformazione – aggiunge il direttore Svimez – serve un investimento sulla brandizzazione e sui brand meridionali forti. Quindi c’è bisogno di rafforzare il sistema della logistica. Che era il tema attorno al quale la prospettiva delle Zes sarebbe stata interessante, poteva essere molto collegata al rafforzamento di alcune filiere territoriali esistenti. Però le capacità progettuali soprattutto regionali sono molto scarse”. Le zes declinate al passato come una nuova occasione mancata? “Avrebbero dovuto essere operative già da tempo, parliamo di uno strumento che è stato introdotto più di due anni fa e rispetto alle quali non abbiamo ancora alcun aspetto attuativo. Ne parlo con scetticismo rispetto ai tempi di attuazioni”, spiega Bianchi.