di Emanuele Scarci
Toscana prima regione italiana per eccellenze enogastronomiche: vanta 89 denominazioni (31 prodotti food e 58 wine) che determinano un impatto economico di 1,1 miliardi.
La stima è di Qualivita e si riferisce al periodo pre-covid. Il lockdown infatti ha imposto un rallentamento doloroso a tutte le denominazioni e la ripresa è troppo lenta per poter recuperare il terreno perso. Dal 28 settembre al 2 ottobre si è svolta a Siena la seconda edizione di BuyFood Toscana, un evento di Regione Toscana e Camera di Commercio di Firenze-PromoFirenze dedicato ai prodotti Dop-Igp e Agriqualità, organizzato da Fondazione Sistema Toscana. La manifestazione vuole riannodare i fili, lacerati dal covid, tra produttori locali e mercati esteri. Ma stante i limiti sanitari agli spostamenti internazionali, gli incontri fra 45 imprese toscane e 38 buyer esteri di 17 Paesi selezionati da PromoFirenze si sono svolti esclusivamente su piattaforma digitale.
Alla fine gli operatori si sono dichiarati soddisfatti di questa ripartenza, ma la strada è ancora lunga. La Toscana, regione-gourmet per eccellenza, ha le risorse per superare il momento di difficoltà: solo negli ultimi 10 anni sono state registrate 11 nuovi Dop. I più recenti, nel 2016, sono stati il pane toscano Dop, la Mortadella di Prato Igp e i Cantuccini toscani Igp; l’anno prima la Finocchiona Igp e il Pecorino delle balze volterrane Dop; negli anni precedenti il Panforte di Siena Igp, l’Agnello del centro Italia Igp, la Cinta senese Dop, l’olio Seggiano Dop, la Farina di castagne della Lunigiana Dop e i Ricciarelli di Siena Igp. Alcune di queste sono matricole e start up dal grande potenziale, ma, oggi, il prodotto trainante (vini esclusi) rimane il Pecorino toscano Dop che genera un volume d’affari per oltre 30 milioni. Il Prosciutto toscano Dop si ferma a metà. Degli 1,1 miliardi di affari pre-covid prodotti da Dop e Igp, Qualivita stima che la provincia di Siena se ne ritagli poco più di 500 milioni, seguita da Firenze (222 milioni), Grosseto (105 milioni), Arezzo (86 milioni), Livorno (66 milioni), Pisa (59 milioni), Pistoia (29 milioni), Prato (18,6 milioni), Massa (8,8 milioni) e Lucca (6,7 milioni). Alla leadership indiscussa di Siena contribuisce, evidentemente, il volano del vino.
Quanto ha impattato il covid e, soprattutto, a che punto è la ripresa? “Dall’estate la domanda si è risvegliata – commenta Antonio Morbidi, comproprietario di Salcis di Monteriggioni – ma, pur volendo peccare d’ottimismo, alla fine dell’anno avremo un calo dei ricavi di almeno il 10-15%”. Nel 2019 Salcis ha fatturato 12 milioni (60% salumi e 40% formaggi), di cui il 35% sui mercati esteri. “Facciamo pochissima grande distribuzione – puntualizza Morbidi – e durante il lockdown siamo stati penalizzati, anche se abbiamo accelerato sullo spaccio aziendale”. Più pessimista Fausto Leoncini, titolare della Fabbrica del Panforte di Siena a Sovicille, un prodotto realizzato artigianalmente solo da 8 produttori Dop. “Cinque mesi di chiusura per il covid e 15 addetti in Cig ci hanno messo alle corde – si lamenta Leoncini -. A marzo la produzione in magazzino, valore 150 mila euro, l’abbiamo devoluta in beneficenza. Ora abbiamo ripreso di buon ritmo, ma a fine anno ci aspettiamo un calo del giro d’affari compreso fra il 30 e il 50%. Tuttavia il peggio verrà all’inizio del 2021, quando dovremo pagare le tasse”.
Nel 2019 La Fabbrica del panforte ha fatturato 2,2 milioni. Produce i dolci della tradizione senese: ricciarelli, cantuccini, panforte, cavallucci, amaretti. Presenti in negozi come Harrods a Londra, nei punti vendita Eataly, negli aeroporti italiani e anche nella grande distribuzione. Meno preoccupati del futuro a Fattoria San Michele a Torri, nel cuore del Chianti: 600 ettari con 75 di vigneto, 73 di oliveto, un allevamento di cinta senese, boschi e seminativi. Un salto nel passato, nella fattoria toscana dalle produzioni allargate: olio, salumi di cinta senese, carne, uova, verdura, pane, legumi, miele, marmellate e vari altri prodotti biologici. L’azienda, di proprietà di Paolo Nocentini, patron dell’operatore logistico Savino Del Bene, è trainata dal business del vino: 300 mila bottiglie, prevalentemente di Chianti classico e Chianti dei Colli Fiorentini. “Abbiamo terminato la vendemmia – annuncia il direttore Leonardo Francalanci -. Quest’anno l’uva era stressata dalla siccità e non potevamo aspettare oltre. Alla fine produrremo meno ma la qualità sarà migliore”. Quanto all’allevamento, la Fattoria produce carne da cinta senese, con poche centinaia di maiali di carne pregiata: vivono all’aperto, liberi in un’oasi in collina. “I volumi prodotti sono limitati ma di livello – osserva Francalanci – e non ci sono problemi di assorbimento da parte del mercato”. “Durante il lockdown – interviene il presidente del Consorzio della cinta senese Daniele Baruffaldi – la chiusura della ristorazione ha bloccato incidentalmente il nostro principale canale di vendita, ma non abbiamo problemi di assorbimento della produzione: la domanda è 10 volte superiore. Tuttavia il nostro obiettivo è fare massa critica, creare una filiera che ci permetta di programmare la produzione e poter crescere”.