di Francesca Landolina
Proviamo ad immaginare una produzione di vini di terroir.
Circoscriviamola alla Sicilia, ma pensiamo a vini da grandi vitigni autoctoni, nati da vigne che sono piccole parcelle, macchie di leopardo, distribuite nel vigneto Sicilia. Riuscireste a trovare il vigneto migliore per ogni vitigno? Si potrebbe pensare ad un gioco, ad una sorta di “caccia al tesoro”. Ed è stato un po’ così per i tre amici enologi che hanno dato il via ad un ambizioso progetto, che nasce con il nome di Pietre di Luna e con un primo vino dedicato al Catarratto. Alla guida, per esperienza e, a suo dire per anzianità, c’è l’enologo Calogero Statella, conosciuto sull’Etna anche, ma non solo, per essere l’enologo della cantina Tenuta delle Terre Nere del produttore Marc De Grazia, e i giovanissimi colleghi Claudio Di Prima e Vincenzo Marino, il primo assistente di Statella e il secondo enologo di cantina dell’azienda Graci.
Tutto ha origine da una considerazione sul Catarratto e da folgoranti assaggi, racconta Statella: “Il progetto Pietre di Luna nasce dall’idea che il Catarratto, il vitigno più diffuso in Sicilia, se posto in determinati areali, con specifiche condizioni pedo-climatiche e se coltivato in un certo modo, riesce a dare grandissimi vini, con caratteristiche distintive, riconoscibili e con un’ottima propensione all’invecchiamento. L’idea di fare un grande Catarratto mi gira in testa già da qualche anno. Diversi anni fa un collega mi face assaggiare alcuni vini a base Catarratto, da vigne coltivate su suoli calcarei sopra i 400 metri di altitudine e rimasi folgorato dal livello qualitativo. Fu in quel momento che cominciai a pensare veramente di fare qualcosa con quest’uva”. E se galeotto fu qualche assaggio, galeotta fu anche l’idea di Statella per i giovani amici enologi, Di Prima e Marino. “Insieme abbiamo pensato che l’idea fosse troppo bella per non realizzarla – racconta Statella – Loro, con l’entusiasmo proprio dei giovani ambiziosi, sarebbero partiti in qualche modo da tempo. Io ho continuato a porre una condizione al via: avrebbero dovuto trovare prima la vigna giusta, la vigna dove si potesse fare un grande vino”. Immaginate che quei giovani si siano scoraggiati? Certamente no. Iniziata la caccia al vigneto ideale, eccolo finalmente trovato in un vigneto di 5.000 metri di Catarratto Comune di 20 anni, in biologico, esposto a nord, a 450 metri di altitudine, su suolo argilloso-calcareo-gessoso, sulla collina di Calatafimi, nel trapanese, in località Pianto Romano, posto noto per essere stato teatro della famosa Battaglia di Calatafimi, dove i Garibaldini inflissero una dura sconfitta all’esercito borbonico, determinante per la vittoria finale e la liberazione della Sicilia. La battaglia è ricordata da un monumento poco distante dal vigneto che si chiama “Ossario di Pianto Romano”, dove sono conservate le ossa dei soldati garibaldini caduti qui. Scelto il vigneto per il Catarratto, i tre non hanno perso tempo.
“Convinti delle potenzialità della vigna, abbiamo deciso di acquistare l’uva e provare a fare il vino – prosegue l’enologo -, tuttavia, nel nostro mestiere è sempre il bicchiere che deve avere l’ultima parola. E, detto fatto. Abbiamo raccolto l’uva in cassette da 15 chili e portata con un camion frigo refrigerata a 4°C presso una cantina sull’Etna per la vinificazione. La qualità del vino si è da subito dimostrata straordinaria, al di là di ogni mia più ottimistica aspettativa. E alla luce del potenziale qualitativo del vino, abbiamo deciso di proseguire con il progetto e per prima cosa ci siamo preoccupati di assicurarci le uve di quel vigneto per il futuro; ci siamo infatti accordati con il proprietario ed abbiamo stipulato un contratto di affitto della parte migliore della vigna, in modo che la conduzione e tutte le scelte tecniche in vigna dipendano da noi. La produzione in termini di numeri è volutamente limitata; quest’anno metteremo sul mercato solo 3.000 bottiglie. Ci sono però margini di crescita, in quanto la vigna di Catarratto a cui facciamo riferimento è piuttosto estesa; vinificando tutta l’uva della zona migliore della vigna potremmo produrre il doppio delle bottiglie a parità di qualità”.
Il Catarratto Pietre di Luna al calice ha un naso fresco e intenso caratterizzato da profumi floreali, fiori bianchi principalmente ed erbe aromatiche, ma soprattutto è in bocca che regala un ingresso quasi dolce, a cui segue un’esplosione salata. È la componente gessosa che dona sapidità. Il terreno è infatti ricco di selinite (detta anche pietra di luna) il minerale da cui si estrae il gesso, la cui formula chimica è riportata in etichetta. Allo scaffale il vino ha un costo di 20 euro. Ma il Catarratto è solo il punto di partenza della start up. “Idealmente, vorremmo che il progetto diventasse una realtà legata ai migliori vini di terroir siciliani. Ci piacerebbe per esempio, produrre un grande vino rosso a base di Nero d’Avola o di Perricone, magari da una vigna in altura. Oggi più che mai il mercato del vino di qualità, in Italia e nel mondo, ha preso coscienza che la qualità di un vino passa da una viticoltura sostenibile, condotta con metodi artigianali e con vitigni autoctoni fortemente legati al territorio. Bene, il progetto Pietre di Luna in questo senso ha tutte le carte in regola”, conclude Statella. Bisognerà trovare però le vigne giuste. E così la caccia al “tesoro”, per i ragazzi, continua.