“Tutte le scienze hanno contribuito a mettere in rilievo e circondare convenientemente i piaceri del gusto” scrive Anthelme Brillant-Savarin nella sua opera la Fisiologia del gusto.
La psicologia, la filosofia, la semiotica, l’estetica, l’antropologia, la sociologia, sono soltanto alcune delle discipline che si occupano di “gusto” alle quali, di recente, si è aggiunta la neurogastronomia; una scienza molto giovane che, guidata dal pensiero neuroscientifico, studia il nostro rapporto con il cibo partendo dal cervello, l’organo più misterioso e complesso.
Quando ho cominciato ad occuparmi di cibo e seguivo le lezioni del professore Gianfranco Marrone, docente ordinario di Semiotica all’Università di Palermo, ricordo di aver messo subito in discussione l’idea del cibo come bisogno naturale, perché ho scoperto il cibo “buono da pensare” e che il gusto, attraverso l’atto di introiettare il cibo dentro di noi, ci consente di conoscere e classificare il mondo esterno, perché il gusto è “piacere che pensa”.
Il cibo infatti non è soltanto la necessità di nutrirci, ma è anche il bisogno di “gustare”, ovvero provare piacere del sapore di una pietanza; “perché una cosa è la percezione legata alla dimensione del gustoso (che dalla sensorialità va verso il riconoscimento cognitivo di ciò che si assaggia, al sapere, alla cultura), un’altra cosa è l’assaporamento dei cibi legata al saporito (sensorialità – anch’essa culturalmente determinata – che mira piuttosto a rilevare parallelismi e inversioni fra le qualità sensibili presenti nei cibi, senza nominarle, senza dar loro una definizione linguistica)” così scrive Gianfranco Marrone, nel suo libro Gustoso e Saporito. Introduzione al discorso gastronomico. L’Autore tuttavia non vuole “opporre sensi a intelletto, percezione a cognizione” ma, al contrario, “ricostruire l’intreccio fra due diversi linguaggi”.
Se la percezione è uno stato attivo della mente che consente di attribuire significato alle sensazioni, mentre la sensorialità è un processo basilare che deriva da ciò che i nostri organi di senso rilevano e poi inviano al cervello, allora il gusto mette in relazione il corpo e la mente. Le neuroscienze se ne sono accorte e stanno indagando sui meccanismi cognitivi alla base dei nostri comportamenti alimentari.
Gordon M. Shepherd, neuroscienziato dell’Università di Yale e autore di All’origine del gusto. La nuova scienza della neurogastronomia ci spiega che “al solo pensiero del cibo, ancor prima di cominciare a mangiarlo, nel nostro cervello si attiva una rete neurale distribuita, che comprende non solo le vie sensoriali, ma anche le aree legate alla motivazione, al linguaggio, alla memoria e alle emozioni che esse suscitano”. Tra i sensi e il cervello, dunque, si svelano complesse interazioni e il gusto da fenomeno sensoriale diventa anche una questione di testa.