Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

La “neurograstronomia”: così il gusto può diventare terapia per il cervello

04 Gennaio 2025
La nuova frontiera tra cibo e neuroscienze: la Neurogastronomia La nuova frontiera tra cibo e neuroscienze: la Neurogastronomia

Un team di ricerca del CNR sta esplorando come la stimolazione sensoriale possa trasformarsi in una strategia terapeutica innovativa

“Tutte le scienze hanno contribuito a mettere in rilievo e circondare convenientemente i piaceri del gusto” scrive Anthelme Brillant-Savarin nella sua opera la Fisiologia del gusto. 

La psicologia, la filosofia, la semiotica, l’estetica, l’antropologia, la sociologia, sono soltanto alcune delle discipline che si occupano di “gusto” alle quali, di recente, si è aggiunta la neurogastronomia; una scienza molto giovane che, guidata dal pensiero neuroscientifico, studia il nostro rapporto con il cibo partendo dal cervello, l’organo più misterioso e complesso.

Quando ho cominciato ad occuparmi di cibo e seguivo le lezioni del professore Gianfranco Marrone, docente ordinario di Semiotica all’Università di Palermo, ricordo di aver messo subito in discussione l’idea del cibo come bisogno naturale, perché ho scoperto il cibo “buono da pensare” e che il gusto, attraverso l’atto di introiettare il cibo dentro di noi, ci consente di conoscere e classificare il mondo esterno, perché il gusto è “piacere che pensa”.

Il cibo infatti non è soltanto la necessità di nutrirci, ma è anche il bisogno di “gustare”, ovvero provare piacere del sapore di una pietanza; “perché una cosa è la percezione legata alla dimensione del gustoso (che dalla sensorialità va verso il riconoscimento cognitivo di ciò che si assaggia, al sapere, alla cultura), un’altra cosa è l’assaporamento dei cibi legata al saporito (sensorialità – anch’essa culturalmente determinata – che mira piuttosto a rilevare parallelismi e inversioni fra le qualità sensibili presenti nei cibi, senza nominarle, senza dar loro una definizione linguistica)” così scrive Gianfranco Marrone, nel suo libro Gustoso e Saporito. Introduzione al discorso gastronomico. L’Autore tuttavia non vuole “opporre sensi a intelletto, percezione a cognizione” ma, al contrario, “ricostruire l’intreccio fra due diversi linguaggi”.

Se la percezione è uno stato attivo della mente che consente di attribuire significato alle sensazioni, mentre la sensorialità è un processo basilare che deriva da ciò che i nostri organi di senso rilevano e poi inviano al cervello, allora il gusto mette in relazione il corpo e la mente. Le neuroscienze se ne sono accorte e stanno indagando sui meccanismi cognitivi alla base dei nostri comportamenti alimentari.

Gordon M. Shepherd, neuroscienziato dell’Università di Yale e autore di All’origine del gusto. La nuova scienza della neurogastronomia ci spiega che “al solo pensiero del cibo, ancor prima di cominciare a mangiarlo, nel nostro cervello si attiva una rete neurale distribuita, che comprende non solo le vie sensoriali, ma anche le aree legate alla motivazione, al linguaggio, alla memoria e alle emozioni che esse suscitano”. Tra i sensi e il cervello, dunque, si svelano complesse interazioni e il gusto da fenomeno sensoriale diventa anche una questione di testa. 

Un team di ricerca sta iniziando a dialogare con questa nuova disciplina per scoprirne il potenziale terapeutico nascosto in ciò che prepariamo e mettiamo nel nostro piatto. Il dottor Domenico Nuzzo, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR, insieme al suo staff, composto dai dottori Miriam Buttacavoli, Antonella Girgenti, Flores Naselli, Laura Palumbo e Pasquale Picone, ed altri collaboratori, sta esplorando come la stimolazione sensoriale possa trasformarsi in una strategia terapeutica innovativa. Il loro lavoro si concentra su condizioni neurologiche complesse, dall’invecchiamento all’autismo, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita attraverso un approccio scientifico. 

Secondo il ricercatore, il cibo non è solo nutrimento, ma può diventare una vera e propria terapia. La preparazione delle pietanze, con il suo rituale che coinvolge gesti e attenzione; la presentazione del piatto, che stimola la vista e suscita emozioni; la degustazione, che introduce biomolecole e nutrienti benefici per il cervello, sono tutte fasi essenziali della neurostimolazione sensoriale specifica. In questa complessa dinamica, ogni senso gioca un ruolo cruciale. L’olfatto, il tatto, la vista, l’udito e persino la parola interagiscono con le reazioni biochimiche alla base dei processi di assimilazione e delle attività biologiche del nostro corpo. Questa multidimensionalità rende la neurogastronomia una scienza rivoluzionaria, capace di aprire nuove strade nella cura delle patologie neurologiche.

Da sinistra Domenico Nuzzo, Laura Palumbo, Miriam Buttacavoli, Pasquale Picone, Flores Naselli, Antonella Girgenti Da sinistra Domenico Nuzzo, Laura Palumbo, Miriam Buttacavoli, Pasquale Picone, Flores Naselli, Antonella Girgenti

Dottor Nuzzo, ci può spiegare in cosa consiste la neurogastronomia e perché è così innovativa?

“La neurogastronomia è una disciplina emergente che esplora come la stimolazione sensoriale attivata dal cibo possa essere utilizzata per favorire il recupero o la compensazione di aree cerebrali compromesse da condizioni patologiche. Olfatto, vista, tatto e persino udito svolgono un ruolo cruciale nel modellare l’esperienza del gusto, rendendola un potente strumento di intervento terapeutico. Lo studio della neurogastronomia coinvolge una rete complessa di sensi e processi neurologici. Il gusto è influenzato primariamente dall’olfatto insieme alla vista, al tatto e persino all’udito, oltre che dall’ambiente in cui si consuma il pasto. Quando osserviamo un piatto ben presentato, il nostro cervello attiva aree legate alle emozioni e ai ricordi, anticipando l’esperienza del gusto e amplificando il piacere del momento”. 

Quali sono gli obiettivi della vostra ricerca?

“La nostra ricerca mira a sfruttare l’interazione tra i sensi e il cervello per attivare specifiche aree cerebrali. L’obiettivo è sviluppare approcci innovativi in grado di sostenere il recupero o compensare funzioni alterate in condizioni neurologiche, come l’invecchiamento, i disturbi dello spettro autistico e le malattie neurodegenerative. Puntiamo a tradurre queste scoperte in interventi pratici che migliorino la qualità della vita dei pazienti. L’obiettivo del nostro lavoro è duplice, da un lato comprendere come i diversi sensi contribuiscono alla percezione del gusto e dall’altro sfruttare queste conoscenze per sviluppare nuove terapie. La neurogastronomia quindi non è solo scienza, ma una vera fusione di arte culinaria, neuroscienze e tecnologia, con un enorme potenziale applicativo”.

Come avviene questa stimolazione sensoriale?

“Stiamo gettando le basi per sviluppare tecnologie e protocolli che combinano l’utilizzo di cibi progettati con cura, aromi specifici e stimoli visivi per attivare le aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione sensoriale. Ad esempio, lavoreremo con colleghi in Turchia e Cina per studiare il ruolo di aromi alimentari e biomolecole nootrope, come quelle presenti nei funghi, e con esperti in Thailandia per esplorare l’impatto di queste tecniche in contesti di malnutrizione”. 

Quali applicazioni pratiche prevedete per questa ricerca?

“Le potenzialità potrebbero rilevarsi interessanti, ad esempio l’uso della stimolazione sensoriale per migliorare la qualità della vita in pazienti affetti da malattie neurodegenerative, aiutandoli a mantenere connessioni emotive e cognitive attraverso il cibo. Inoltre, si potrebbero metter a punto delle tecniche per il recupero di percezioni sensoriali alterate, come nel caso di individui che hanno perso il gusto o l’olfatto dopo infezioni virali. Oppure indagare su strategie alimentari innovative che possano intervenire sui disturbi alimentari quali anoressia e bulimia o sull’ipersensibilità sensoriale; quest’ultima molto frequente nei bambini e nei ragazzi con autismo, che può comportare il rifiuto e l’evitamento del cibo o alimenti. L’obiettivo finale di questo lavoro sarà integrare la neurogastronomia nelle strategie di prevenzione e terapia, dimostrando che il cibo può essere molto più di un semplice nutrimento. È una strada nuova e complessa, ma siamo convinti che possa aprire orizzonti importanti per la scienza e per il benessere delle persone”.

Ci parli del laboratorio che vorreste realizzare presso l’Istituto per la Ricerca e l’Innovazione Biomedica di Palermo.

“Grazie a una partnership con l’imprenditrice Gloria Bosco stiamo creando un laboratorio di analisi sensoriale a Palermo, questo spazio sarà attrezzato con dispositivi all’avanguardia, come caschetti EEG e altri sensori portatili, che ci permetteranno di analizzare le risposte cerebrali e fisiologiche agli stimoli sensoriali. Sarà una struttura aperta a collaborazioni interdisciplinari e internazionali. Abbiamo anche realizzato un profilo Instagram con il quale diffondere e veicolare le informazioni e i risultati della ricerca. Il profilo racconta del viaggio dell’uomo attraverso la visione della neurogastronomia: luoghi, rituali, alimenti, materie prime ed atmosfere si fonderanno per regalare ai visitatori l’emozione del cibo. Il cibo non è solo qualcosa che nutre il corpo, ma anche la mente e l’anima attraverso una stimolazione sensoriale che avvolge l’essenza stessa dell’uomo e che investire nella ricerca in questo campo significa valorizzare il nostro patrimonio culturale e scientifico per creare un futuro in cui nutrizione e salute siano davvero integrate”.