Morirai sanissimo, cantava Freak Antoni tanti anni fa: questo sembra essere l’obiettivo dei ragazzi della Gen Z, stando alle ultime tendenze, non solo dagli Stati Uniti, ma anche, addirittura dalla Francia.
I dati ci dicono che il consumo di alcolici tra i ragazzi della Gen Z non è mai stato così basso, più di un quarto di loro afferma di non bere assolutamente, gli altri di bere solo saltuariamente, e mai in modo eccessivo.
La sobrietà sembra essere diventata la nuova coolness, dopo essere stata sempre associata alla noia, ai videogiochi e alla teorie del complotto, è diventata il nuovo trend, con tanto di (sober) influencer, dall’imperativo del dry January, alle micro tribù di iper sobri super consapevoli, foriera di una nuova wokeness che invece di riguardare i diritti civili, riguarda il fegato e il controllo emotivo.
Se su tic tok #Sober 4.4 miliardi di views, #soberlife ne ha quasi due miliardi, con tanto di nuovi trendsetter di questa nuova comunità dal fegato immacolato come @youdonthavetodrink e @milliegoch fondatrice della dry disco club organizza serate danzanti in cui alla fine, tutti si ricordano tutto.
Gli altri, quei pochi che ancora bevono, lo fanno poco e in modo sempre consapevole, e divisi in nicchie, comunità, sottocomunità e microgruppi, a feste dove dominano i giochi da tavolo, la musica è a volume discreto e mai rock, che potrebbe nei casi più satanici fare venire voglia di bere una birra non analcolica, feste dove nessuno bacia gli estranei, i bagni sono strapuliti, e tutti a fine serata ritrovano sempre la macchina al volo.
I sobri più fighi e futuristi sono i Cali Sober, perchè in California si sa arriva tutto ciò che è figo, nuovo e colorato. I Cali Sober hanno detto addio in favore della marijuana, più rilassante e meno impattante sul fisico, una scelta salutista, dicono, mangiando in fame chimica solo piatti veg.
Un gradino sotto per coolness ci sono Sober Curious: sono persone che vivono il loro rapporto con l’alcol in modo cosciente, si impongono lunghi momenti di sobrietà, ma non escludono l’alcol a priori, sono dei sobri che ogni tanto bevono, questo gruppo di persone è così diffuso da essere spesso esplicitato anche nelle bio di Tinder, dando luogo al fenomeno, per fortuna ancora poco popolare in Italia delle sober curious dates, che ovviamente non includono soste al pub, o aperitivi, ma appuntamenti per colazione, jogging, yoga, giri per negozi e altre amenità very very hot, in cui lasciarsi scoprire dal potenziale partner per come si è davvero, nei casi migliori ci si bacia con trasporto, ma mai troppo, trasporto. Anche l’Italia sembra si stia accodando alla tendenza, con la prima fiera dei drink analcolici, a Bologna, NoLo, mentre riviste importanti consacrano la copertina alla kombucha, una sorta di versione fermentata del the, che questa nuova generazione di salutisti woke giura essere il drink del futuro, ovviamente in quantità moderata, e consapevole.
Se quindi, come suggerisce il bellissimo libro di Edward Slingerland, intitolato appunto Drunks, l’alcol e l’ebrezza sono sempre sopravvissuti nei secoli perché i loro effetti positivi superavano, di gran lunga, agli occhi delle persone quelli negativi, in termini di socialità e di capacità di creare relazioni, nuove e inaspettate tra gli individui, ora proprio la socialità dell’alcol è l’elemento che viene a mancare.
In una società sempre più social e sempre meno sociale, dove le connessioni ormai non si fanno più vis a vis ma con le mediazione degli schermi, la funzione del vino e dell’alcol in generale come acceleratore relazionale, come facilitatore di incontri e finanche di amori viene a mancare, il valore dell’alcol come generatore involontario di serendipity viene visto in modo, sospetto, spesso negativo.
Se un bicchiere di Chenin Blanc può essere un ottimo modo di iniziare una date dal vivo, nel buio delle nostre case, nelle nostre interazioni romantiche, illuminate dalla luce dello schermo di un pc, l’alcol rischia di compromettere la nostra lucidità nel digitare e nel ragionare o di scrivere cose pseudo argute o pregiudicare la nostra velocità di copia incolla da wiki quote.
E proprio questo sembra essere uno dei punti fermi della gen Z No Lo: oltre alla salute e alla fascinazione per tutto ciò che è o viene percepito come sano, il punto sembra proprio essere che questa generazione ha il terrore della perdita del controllo, sulle emozioni, sul proprio corpo, sulla propria vita.
L’illusione di una felicità asettica, totalmente misurabile, quantificabile figlia di questo mondo della crescente digitalizzazione della sfera emotiva, rischi di relegare l’alcol e tutta l’euforia che flirta con l’inconscio, l’incommensurabile, l’es alla stregua di un vizio inutile dannoso, per l’efficenza lavorativa, sociale ed esistenziale. Se forse non rimpiangeremo il binge drinking di certi anni universitari o i bottèllon di certe vacanze catalane dei vent’anni, lo svegliarsi in luoghi sconosciuti nel letto con estrane* di cui non sappiamo il nome, credo che forse, ci sono altre cose bellissime che l’ivresse, potrebbe continuare a regalarci.
In tutta questa voglia, estrema di sanificazione della vita e di patologizzazione di tutto ciò che attiene all’emotività e in ultima analisi alla giovinezza, rischiamo di perdere, il sapore abbastanza tannico dell’imprevisto, la sensazione leggermente amaricante del mistero, la nota ossidativa dei ricordi.
Forse in questa corsa nevrotica alla salute, alla lucidità e al perenne woksismo, qualcosa si perde, e qualcosa che ha a che fare con la vita, la serendipity appunto, il piacere dell’ignoto, mi piace pensare al vino come un acceleratore naturale di particelle emotive, un facilitatore naturale di relazioni, un facilitatore di emozioni sopite, spesso interessanti, a volte bellissime.
Forse una vita alcol free è una vita più sana, consapevole, bella, ma forse senza l’elemento intossicante, beh, si perde qualcosa che rende le notti più magiche, anche se peggiora la qualità dei risvegli.