di Manuela Zanni
Chiunque non sia palermitano sentendo parlare di “festa dei morti” resta, nella maggior parte dei casi, sgomento poiché, normalmente, l’idea della morte è associata al lutto, alla tristezza e al dolore.
Tuttavia, poiché per i palermitani “santu ca veni festa ca fai ” ovvero ogni “occasione è buona per festeggiare”, la commemorazione dei defunti assume a Palermo i connotati tipici di una festa le cui origini hanno radici antichissime. Basti pensare, infatti, che all’interno delle tombe paleocristiane rinvenute nei sotterranei di Palermo sono state trovate nicchie deputate al “rinfresco” con la duplice funzione di fungere da “conforto” dei parenti che andavano ad assistere alle esequie da una parte e di assicurare delle provviste al defunto nella sua vita ultraterrena dall’altra. Questa usanza, che ha origine nella notte dei tempi, è la prova lampante che, nella cultura siciliana, il cibo possa superare anche i confini della morte attraverso la preparazione di piatti dolci e salati in grado di, giusto per essere in tema, “fare resuscitare i morti”.
A Palermo la ricorrenza dei defunti si trasforma in un vero tripudio di luci, colori e sapori che ben poco ricordano la mestizia di un giorno dedicato alla commemorazione dei propri cari estinti. Ecco che, nell’ultima settimana di ottobre che precede la festività, i bar e le pasticcerie iniziano a riempirsi di variopinti frutti di martorana (pasta di mandorle), pupi di zucchero, mustaccioli, nucatoli e “ossa di morto”, solo per citarne alcuni, e nei negozi comincia un assortimento illimitato di giocattoli (bambole, mobili, peluches, pistole, fucili e biciclette) che rappresenteranno i doni che i morti nella notte tra l’1 e il 2 novembre porteranno ai bambini.
In concomitanza per tutta la città appaiono, come funghi, ad ogni angolo di strada, le bancarelle illuminate da grappoli di lampadine scintillanti che incorniciano gli stessi dolci di fattura più grezza di quelli che si trovano nelle pasticcerie più rinomate ma proprio per questo ancora più caratteristici per i colori più accesi, a volte innaturali, che li rendono unici. I venditori ambulanti dispongono sulle loro bancarelle ogni sorta di dolciume e leccornìa per offrire ampia scelta a ciascuno nella composizione del proprio “cannistru”, ovvero un cesto contenente tante varietà di golosità da consumarsi nel giorno della festa. La mattina del 2 novembre i bambini iniziano una “caccia al tesoro” che avrà come premio il goloso bottino costituito da un cesto colmo di dolciumi e giocattoli raccolti per casa: i frutti di martorana lucidi e colorati, cioccolatini dalle cartine iridescenti, caramelle a forma di spicchio d’arancia e di limone, gommose ripiene di liquirizia a forma di banana e pupi di zucchero dai colori scintillanti. Con un simile “ bottino” come si fa a temere la Morte?
Per il pranzo di questo giorno immancabile la “muffoletta” ovvero una pagnotta condita con pomodoro, ricotta, olio, sale, pepe, origano, caciocavallo e acciuga, accompagnata da frutta di stagione come le caldarroste, melograni, loti, carrube, datteri, fichi secchi, e i cosiddetti “murticeddi “ovvero piccoli frutti verdi dal sapore aspro e pungente.
Tra tutti I dolci tradizionali di questo giorno il posto d’onore va sicuramente riservato alla frutta di Martorana di cui, in molte case, si assiste al tradizionale rituale della realizzazione artigianale. Si tratta di frutta realizzata con la pasta di mandorle che deve il suo nome alla Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio o della Martorana, poiché secondo una nota tradizione, le suore in occasione della visita del papa Clemente V, per abbellire il loro giardino spoglio di frutti, li crearono di mandorla e zucchero.
Da allora non esiste pasticceria a Palermo che in questo periodo non metta in bella mostra all’interno delle proprie vetrine frutti colorati di pasta di mandorle. Ma non solo. Non esiste limite, infatti, alla fantasia dei Maestri Pasticceri che, negli anni, si sono cimentati nella preparazione di questi dolci tanto belli da vedere quanto buoni da mangiare anche se, ovviamente, non sono tutti uguali. La quantità dello zucchero deve, infatti, essere inferiore a quella della farina di mandorle altrimenti il gusto ne sarebbe pregiudicato. Tuttavia, a causa del costo superiore della farina di mandorle rispetto a quello dello zucchero molte pasticcerie invertono le quantità avendo come risultato un impasto eccessivamente dolce, duro e poco saporito. Ne consegue che morbidezza, dolcezza limitata ed intenso sapore di mandorle siano I parametri che fanno la differenza quando si deve individuare una frutta di martorana di qualità.
(Giovanni Mangione)
Noi abbiamo interpellato alcuni Maestri Pasticceri che hanno fatto della pasta di mandorle il proprio fiore all’occhiello non solo per l’uso di ingredienti di qualità ma anche per la fantasia utilizzata nella realizzazione delle forme. Giovanni Mangione, pastry chef del bar Plano di Porto Empedocle, ad esempio, crea con la pasta di mandorle dei veri e propri capolavori artistici: tagliatelle al ragù, pesci al cartoccio, insalata di mare, incluso l’immancabile “mezzo limone”, uova e patate, triglie e cozze , non c’è davvero limite alla fantasia del pasticciere agrigentino che ha fatto della cura dei dettagli e della qualità degli ingredienti il proprio biglietto da visita noto e apprezzato sia a livello nazionale che internzionale.
(Marina La Mattina)
Marina La Mattina, la pastry chef e cake designer che ha fatto della manipolazione della pasta di zucchero il proprio fiore all’occhiello, è poi passata alla manipolazione della pasta di mandorle che produce “sin dalla fase della realizzazione della farina di mandorle – ci spiega- utilizzando una bassissima percentuale di zucchero che la rende molto morbida e facilmente plasmabile anche se questo aumenta la difficoltà quando poi si tratta di creare le figure manualmente”. La particolarità delle creazioni della intraprendente pasticciera palermitana, infatti, è la realizzazione di figure esclusivamente a mano. In particolare, oltre alle classiche forme di frutta e ortaggi, Marina prepara le teste di moro, I fichi d’india e altri simboli tipicamente siciliani che fanno assurgere a pieno titolo le sue creazioni al rango di veri e propri capolavori dell’arte pasticcera che sembra, davvero, un peccato mangiare.
(Vincenzo Rosciglione)
Dulcis in fundo, (è proprio il caso di dirlo) il Maestro Vincenzo Rosciglione che, insieme ai fratelli Giovanni, Domenico e Antonino, dal ‘93 ha preso in mano le redini dell’azienda di famiglia, da cinque generazioni, leader nella produzione dolciaria, in questi giorni è alle prese con la produzione di frutti di Martorana e Pupi di Zucchero, anch’essi tipici di questa festività tanto cara ai bambini di una volta che è importante tramandare a quelli di oggi nel segno della continuità di una tradizione dal sapore antico.