Nel 2023 ancora siamo costretti a raccontare episodi simili. Ci troviamo ad Agrigento, al Ginger People&Food. E l’episodio, lo racconta proprio il titolare, Carmelo Roccaro, con un lungo post su Facebook: “Sei entrata di fretta, con il tuo compagno, capelli brizzolati, tagliati cortissimi “alla Sinéad”, donna nostrana sulla sessantina circa. Sei stata accolta con il sorriso dalla nostra Karima, addetta di sala, giovane ragazza di seconda generazione, grande lavoratrice, che ti ha fatto accomodare dove volevi tu. Dopo qualche minuto ti ho visto alzare da tavola, disturbata, e dirigerti verso l’uscita. Ti sono venuto incontro per capire cosa stesse succedendo ma non mi hai degnato di uno sguardo e, alquanto seccata, non hai neanche risposto al mio saluto e sei andata via, così”, si legge nella prima parte del post. “Karima mi guardava con gli occhi sgranati e a bocca aperta dicendomi “Dopo avere visto il menù la signora mi ha chiesto se per caso la proprietaria del ristorante fosse una signora negxx di colore. E alla mia conferma si è alzata dicendo che non voleva più cenare qui…”. Io sono uscito e ti ho seguito mentre risalivi in macchina e andavi via, evitando di guardarmi, mentre costringevi il tuo compagno ad una improbabile inversione ad “U”. Io non conosco chi sei, la tua storia, i tuoi problemi e non oso nemmeno giudicarti. So solo che ho sentito una grande tristezza nel cuore. Ieri sera ho preso consapevolezza di quanto profondo e radicato sia questo sentire che emerge dal lato oscuro delle persone”.
Ecco l’episodio di razzismo dunque. Una signora, se così si può definire, definisce “negxx” la chef del ristorante. La chef, per dovere di cronaca, si chiama Mareme Cissè, nata in Senegal e arrivata in Sicilia per ricongiungersi al marito: negli ultimi anni ha conquistato diversi premi e riconoscimenti tra cui quello di campionessa mondiale di Cous Cous. Ma sarebbe potuta essere pure una sconosciuta qualunque. “Ti sembrerà strano, io ti ho anche ammirato – prosegue il post del titolare – Ti ho ammirato perchè hai avuto la coerenza di dire quello che tante persone, concittadini, amici pensano ma non hanno il coraggio di ammettere. Non importa se si tratta di spazzatura, ma lo hai detto, hai fatto uscire quello che si nasconde dentro di te, sei stata, a tuo modo, sincera. Perché, vedi, noi ci siamo proprio perché esistono persone come te, e non ci disturbano i commenti del tipo “ u vidisti? dintra a cucina su tutti nivuri” o i “negri!” urlati dalle auto in corsa davanti al nostro ristorante. Non ci disturbano e ci fanno sorridere perché li avevamo messi in conto e sapevamo che sarebbe sato difficile costruire una comunità diversa da questa in cui viviamo. Quello che ci sorprende e ci addolora davvero è l’assenza della rete che doveva sostenere questo progetto rivoluzionario, degli intellettuali e di gran parte degli attivisti delle associazioni culturali di impronta progressista o del mondo cattolico, della cooperazione, degli “amici”. Perché frasi come “Non vi montate la testa, volate basso”, “Avete i prezzi troppo alti, i più cari della città”, “Fate porzioni troppo scarse”, ”Una cucina neanche minimamente paragonabile alla nostra”, “Tutto troppo piccante” in fondo vogliono dire quello che tu hai detto, senza peli sulla lingua: la cuoca è nera, voi tutti siete neri, avete oltrepassato il limite. E tutto questo, tra disinformazione e misinformazione, alimenta un immaginario comune che trae linfa dall’incorporazione di aspetti oscuri e nascosti nel nostro inconscio profondo, innegabilmente colonialista e suprematista. Il “povero nero” è bravo e fa bene alla coscienza attraverso le opere di carità “inclusive e antirazziste” dell’uomo bianco italico fin quando fa il lavapiatti o si occupa delle pulizie, cioè rimane al suo posto e non aspira a migliorare la sua condizione sociale. Ma se il nero, grazie al genio che la Natura, per fortuna, dispensa a caso e senza distinzione di sesso o di colore della pelle, diventa uno chef, un capo, diventa più bravo di me o di mio figlio, allora questo non va più bene. Diventa, appunto, troppo”.
“So che non ti farà piacere sapere che sebbene anche alcuni operatori turistici locali, magari per miseri interessi di bottega, alimentino lo stigma che portiamo sulla nostra pelle, viene a trovarci tanta gente da varie parti d’Italia e del mondo, molti ci dicono che hanno prolungato la permanenza in città solo per venire a conoscerci – conclude Roccaro – Ci invitano continuamente in Italia e all’estero per presentare il nostro progetto o far conoscere la nostra cucina, alcune università e giornalisti italiani e stranieri ne hanno fatto un esempio di buone prassi. Tutti ci fanno la stessa domanda: ma che ci fate qui? Beh, certamente ci siamo perché questa è la nostra città e per le tante persone che qui ci adorano, ma devo ammettere che adesso cominciamo ad interrogarci anche noi. Certamente non stiamo riuscendo a cambiare il lato nero dell’anima di quelli come te ma forse stiamo facendo emergere quello, più subdolo e profondo, dell’anima di quegli altri. Senza rancore”.