(Li Demei – ph winetimes.it)
di Bianca Mazzinghi
“Un uomo educato non è una pentola”, scrive il celebre pensatore cinese Confucio nei Dialoghi, raccolta di pensieri risalenti al VI secolo a.C.
Le persone, intende il filosofo, non sono recipienti da riempire con conoscenza fine a se stessa, il pensiero critico va coltivato oltre lo studio e adattato alle più diverse circostanze, perché “studiare senza riflettere è inutile”. Chi sicuramente in Cina ci sta riuscendo è Li Demei, professore di degustazione ed enologia al Beijing Agriculture College e ormai un’istituzione nel settore vinicolo del paese. Presentato da alcuni media stranieri come “uno dei dieci più importanti consulenti vinicoli al mondo”, ha collaborato con molte cantine locali. Molto attivo e presente agli eventi del settore, è inoltre editorialista per Decanter e altri giornali cinesi e giudice in varie competizioni. Basta aprire la sua pagina WeChat per trovare, soltanto negli ultimi due mesi, foto dalle vigne in Shanxi, Anhui, Ningxia, Xinjiang, Penglai e da conferenze ed eventi a Qingdao, Pechino, Shanghai. “Lavoro su più fronti – dice – mi sono impegnato molto anche fuori dall’università, ma non vedo alcuna contraddizione con il mio lavoro didattico; ho la possibilità di visitare le aree produttive, le imprese, i paesi e accumulare così più esperienza, per tenermi sempre aggiornato e riportare in classe ciò che apprendo”. Il ruolo d’insegnante è tuttavia quello che più gli si addice, per il rapporto tra insegnamento e apprendimento che è sempre stimolo per imparare qualcosa in più, documentarsi e aggiornarsi; “insegnare è imparare”, sottolinea più volte.
Lo abbiamo incontrato a Penglai, in occasione della conferenza annuale sullo stato dell’arte del settore, dove si riuniscono ogni anno oltre 200 esperti e operatori. Siamo nel pieno dello sviluppo vinicolo del Ningxia; la zona alle pendici orientali dei monti Helan si sta affermando come il fiore all’occhiello della produzione cinese; anche Yanqi nello Xinjiang è considerata un’area eccezionale per la produzione, con molte aziende di qualità. Quali sono le zone più promettenti e quali le prospettive secondo il professor Li? “Queste due zone sono sicuramente molto promettenti, ma il problema generale della produzione cinese è che fino a ora i produttori non hanno cercato di migliorare le proprie peculiarità e consolidare i propri punti di forza, ma inconsapevolmente hanno imitato gli altri”. Ad esempio, spiega, molte cantine cinesi producono cabernet sauvignon, merlot, chardonnay a prescindere dal terroir. Questa situazione cambierà in futuro e c’è già chi inizia a sperimentare, ma per adesso troppo timidamente. In passato l’introduzione di syrah, cabernet franc, riesling ha favorito alcune aree vocate, in cui queste varietà hanno dato ottimi risultati. Negli ultimi anni sono state introdotte una serie di nuove varietà, come il marselan, petit manseng, malbec, tempranillo. La cantina Grace Vineyards ha piantato aglianico. I viticoltori cinesi iniziano a essere consapevoli della diversità, stanno iniziando a cambiare e questa è la strada giusta.
Secondo Li Demei, per favorire il successo del vino cinese, sarà fondamentale rintracciarne delle peculiarità e puntare su di esse, per portare qualche novità su un palcoscenico mondiale già molto pieno. Altrimenti perché la gente dovrebbe comprare vino cinese se è simile a tutti gli altri (con una storia più breve alle spalle e prezzi oltretutto più alti)? Per questo è necessario puntare e trovare quel qualcosa di diverso, quelle caratteristiche cinesi che possono portare qualcosa in più al settore. I consumatori cercano questo, novità e differenze; sviluppare una caratteristica cinese soddisferebbe le richieste di alcuni consumatori.
Perché il vino cinese è cosi costoso?
“I costi di produzione in Cina non sono affatto bassi: terreno, costo del lavoro, attrezzature. Non avendo una storia produttiva alle spalle, molti produttori devono iniziare da zero, non hanno terreni o attività avviate ed ereditate dai genitori. Sono necessari anni per ammortizzare questi costi, che si riflettono nel prodotto finale. Molti nostri macchinari sono inoltre importati dall’Europa e il costo complessivo del lavoro non è più basso come un tempo, ci sono assicurazione e contributi. In alcune aree inoltre le viti devono essere interrate in inverno per proteggerle dal freddo, in Europa non accade; è un’operazione costosa che incide anche sulle modalità d’impianto e tecniche di coltivazione”.
Changyu, Great Wall e i grandi gruppi cinesi sono troppo denigrati…
“Sembra che queste grandi aziende siano sinonimo di vini di bassa qualità, ma sono anche proprietari di boutique winerie; per esempio Changyu ha cantine in sei diverse regioni e produce sia su larga scala sia prodotti di qualità. Penso sia scorretto criticarli così aspramente. Anche perché rappresentano la produzione di vino cinese; senza di loro la Cina sarebbe forse il sesto paese produttore al mondo?”
Stanno emergendo molte nuove realtà, soltanto in Ningxia ci sono adesso 180 cantine. Quali suggerimenti per chi vuole avviare un’attività?
“Prima di tutto progettare bene tutte le fasi, dalla semina al lancio dei prodotti sul mercato; definire un piano di lavoro che non riguardi uno o due anni, ma almeno i primi cinque, sei, e attenersi al piano senza avere fretta e cambiarlo dopo due, tre anni”.