Semplificare l’accesso al credito, creare misure che non obblighino le aziende con troppi vincoli, snellire la burocrazia in particolare per l’adesione ai bandi, assistere chi sceglie di vivere nelle aree interne predisponendo servizi come le scuole, le botteghe e la rete internet veloce, ma soprattutto avvicinare i giovani all’agricoltura, spiegando loro che vivere dei prodotti della terra è possibile, che si può produrre cibo in maniera sostenibile, moderna ed economicamente vantaggiosa.
Sono queste alcune delle richieste lanciate dai giovani presenti a Terra Madre Salone del Gusto, invitati a riflettere sulle problematiche e le opportunità a loro disposizione per mettere in pratica quella reale transizione ecologica di cui tanto abbiamo bisogno. Tra loro c’è Claudio Amerio, di Maramao Bio a Canelli, provincia di Asti, terra di vini e di nocciole, una cooperativa di tipo B, ovvero che coinvolge per il 30% soggetti svantaggiati. “Abbiamo fondato la nostra azienda nel 2015 e allora eravamo davvero molto giovani – ha ricordato Amerio –. Nella nostra cooperativa sono coinvolti anche richiedenti asilo e rifugiati politici ma, a differenza di quello che spesso accade in agricoltura, da noi non si tratta di braccianti agricoli: abbiamo sempre cercato di fornire gli strumenti affinché questi ragazzi potessero diventare imprenditori del loro lavoro. Per questo alcuni di loro sono entrati nel consiglio di amministrazione della cooperativa, tant’è che a solo un anno dall’apertura eravamo la prima azienda in Italia in cui rifugiati politici hanno avuto accesso alle risorse del Psr. I fondi e i terreni in affitto o comodato d’uso per parecchi anni ci hanno permesso di fare investimenti significativi, come l’agriturismo e la fattoria didattica che stiamo avviando proprio in questi mesi» ha aggiunto Amerio, intervenendo alla conferenza Generazione Terra: valore, cibo e ambiente. Il ruolo dei giovani nella filiera agroalimentare italiana organizzata in occasione di Terra Madre Salone del Gusto 2022.
Quello di Maramao Bio è il profilo di una delle tante imprese a conduzione giovanile in agricoltura fotografate dal rapporto Giovani agroalimentare e territorio, presentato da Ismea e Istat. Seppure di poco, si legge nel rapporto, nell’ultimo quinquennio il loro numero è cresciuto, in controtendenza rispetto alla progressiva riduzione del numero di aziende agricole nel complesso. Le aziende condotte da giovani presentano un grado maggiore di competitività, produttività, propensione all’innovazione e orientamento al mercato. In base ai dati del Registro delle imprese, dal 2017 a oggi sono nate ogni giorno per mano di giovani fino a 35 anni di età 21 nuove aziende agricole, mentre 5 hanno chiuso i battenti, rendendo il saldo tra iscrizioni e cessazioni in attivo per oltre 6.000 aziende nella media del quinquennio. Per effetto di queste dinamiche il numero di imprese agricole condotte dalle nuove generazioni risulta a fine 2021 di 56.172, rivelando una crescita dello 0,4% all’anno negli ultimi 5 anni. Nello stesso periodo il numero complessivo delle aziende agricole si è ridotto al ritmo dello 0,7% all’anno e quello delle aziende “giovanili” dell’intera economia addirittura del 2,4%, corrispondente alla scomparsa di oltre 70.000 imprese nel periodo osservato.
I dati dell’ultimo Censimento dell’Istat mettono in evidenza alcune peculiarità dei giovani agricoltori che fanno impresa, confermando la stretta correlazione che c’è tra le nuove generazioni e una maggiore competitività, capacità di innovare, di fare rete, di diversificare le fonti di reddito e produrre valore nel territorio. Mediamente i giovani sono più formati (49,7% dei capi azienda giovani ha un diploma di scuola superiore e il 19,4% una laurea), le aziende da loro condotte sono più grandi (18,3 ettari di superficie agricola utilizzata per azienda contro 10,7), più orientate al mercato e il loro livello di digitalizzazione è il doppio dell’agricoltura nel complesso, così come più elevata risulta la propensione all’innovazione (il 24,4% dei giovani ha realizzato almeno un investimento innovativo nel triennio 2018-2020, a fronte del 9,7% dei non giovani). I giovani sono poi in prima linea anche nel modello di agricoltura multifunzionale, che sta cambiando la percezione del settore primario italiano, spesso con importanti ricadute sull’ambiente e sulla collettività, come nel caso della produzione di energie rinnovabili o l’agricoltura sociale. Il giovane agricoltore, da semplice produttore di derrate alimentari, diventa creatore di servizi e generatore di valore per il territorio rurale, attraverso esempi di successo come gli agriturismi, le attività di trasformazione e vendita diretta dei prodotti, le fattorie didattiche, gli agriasili. L’incidenza dei giovani nelle aziende con attività connesse, infatti, sale al 19%.
“I giovani che scelgono l’agricoltura sono in gran parte laureati, hanno viaggiato all’estero, usano il web e la tecnologia – ha commentato la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini -. Nelle loro imprese, oltre alla coltivazione, sviluppano attività di trasformazione dei prodotti e vendita diretta, fattorie didattiche e agricoltura sociale per l’inserimento di persone svantaggiate. Sono attenti all’ambiente, impegnati nella lotta alla crisi climatica, credono nei valori di un’agricoltura sostenibile. Anima della transizione ecologica, sono loro la generazione a cui guardare per declinare le politiche agricole del futuro: con lungimiranza e coraggio, le generazioni attuali hanno compreso e accolto in prima persona l’urgenza delle crisi – climatica, ambientale e sociale – che viviamo. L’agricoltura per loro, e anche per Slow Food, è un progetto culturale, una scelta consapevole: significa diventare artefici, più che consumatori, di senso”.
C.d.G.